Testimonianza missionaria, "io ho un cane"

Il racconto di una suora di San Giuseppe del suo ultimo viaggio in Africa in visita alle missioni

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Testimonianza missionaria, "io ho un cane"
Sr. Petra 2

La gip si sta impantanando per l'ennesima volta: la pioggia da ore non cessa e trasforma la strada in un fiume di fango. La gente di qui pare abituata a vedersi strappare dai piedi le scarpe (per lo più semplici infradito) che rimangono attaccate alla terra trasformatasi in colla. La gente di qui pare abituata a portare non solo pesi sulle spalle, ma anche pesi incollati alle suole come ventose. La scena ha qualcosa di drammatico, pare un naufragio di Turner... Al tempo stesso, paradossalmente, racconta della forza e grandezza dell'uomo capace di camminare compresso tra due pesi, quasi avesse ali nascoste che permettono, al di là di tutto, non solo di reggere e sopravvivere, ma di andare. Di andare animati da una certezza interiore: quella che tornerà il sole?...o forse quella di avere dentro un sole?...

 

Mentre il motore brontola e a tratti, quando le ruote girano invano, si arrabbia di brutto imitando il ruggito di un leone ferito, mi torna in mente il silenzio di morte che ho trovato a Bujumbura: sono arrivata lì, nel piccolo aeroporto internazionale della capitale del Burundi, di notte, dopo essere partita da Torino  per arrivare a Bruxelles via Francoforte. Quattro aeroporti: quattro mondi.

Ormai da mesi, da quando è diventata manifesta  e cruenta la lotta tra l'attuale presidente e i suoi oppositori, dalle 18 c'è il coprifuoco e non c'è più anima viva in giro a Bujumbura: si possono incontrare solo militari armati fino ai denti e barricate di filo spinato in quasi tutti gli incroci...

 

Guardo fuori dal finestrino con un certo disagio: io sono al coperto. Una donna con tre caschi di banane legati alla schiena arranca: un piede rapidamente sprofonda nella melma e un altro, lentissimamente, riemerge; un piede sprofonda e uno riemerge e così per centinaia e centinaia di passi. Mi tornano in mente le danze leggere e colorate degli oltre mille bambini incontrati nella nostra scuola Les Anges di Uvira: un volo di farfalle, un concerto di uccelletti, uno sciame di sorrisi...

 

I tergicristalli si muovono avanti e indietro senza sosta, ma si direbbe senza riuscire a smaltire tutto il loro lavoro, quasi come la suora infermiera con il suo aiuto al Centro di Santé di Panzi: la fila dei malati da visitare pare non finire mai...via uno eccone un altro e poi un altro e poi un altro ancora...

 

L'auto si inclina: un po' troppo per i miei gusti. L'autista invece non pare preoccupato; questo percorso così accidentato è il suo pane quotidiano nella stagione delle grandi piogge e la sua calma mi fa pensare alle monache cistercensi di Muresa a Bukavu dove preghiera e lavoro, pace e fatica, si intrecciano formando la fune sicura per ancorare il mondo impedendogli la deriva...

 

Attraversiamo una zona di mercato (vi sono altre zone?...) dove i venditori di pesce secco, fagioli, verdure, abiti di seconda o terza mano, farina, pezzi di ricambio per qualsiasi cosa, cercano di imballare con sacchetti di nylon o teli impermeabili arrivati da chissà che campo profughi, la loro mercanzia. Il nostro passare con la macchina, proprio a poche spanne da loro, li benedice ulteriormente con acqua marrone: gli adulti imprecano stizziti e i bambini sorridono divertiti...

 

Una frenata brusca mi scuote dal torpore che mi sta invadendo: un vecchio che zoppica abbarbicato ad un bastone cerca di attraversare la strada, ma non è né agile né veloce. Vedendolo così magro e lacero non posso che pensare al Crocefisso della nascente Parrocchia di Uvira. E' in legno, è grande, è collocato vicino all'altare. Il Cristo è ben proporzionato, ma mi impressionano i suoi piedi. Inchiodati uno sull'altro presentano evidente un'anomalia: manca uno dei due alluci che è stato rotto. Questo piede mi fa pensare a quanto ho letto una volta sugli schiavi dei campi di cotone: se uno di loro che aveva tentato di fuggire veniva riacciuffato, gli si tagliava l'alluce per impedirgli di camminare speditamente e quindi di scappare di nuovo. Il Cristo di quella chiesa in costruzione, mi fa sentire più vere le parole ai Filippesi di San Paolo: "Pur essendo di natura divina...ha assunto la condizione di servo...". Già, l'ha assunta fino  al punto di non poter più andare altrove, anche se i chiodi si staccassero...

 

I clacson, del nostro veicolo e di quelli che incrociamo, a volte si fanno sentire, ma paiono, forse per tutta l'acqua che sono costretti a bere, cornamuse stonate o, meglio, muggiti di mucche affamate. Non li si potrebbe sostituire tutti con le musiche e i canti eseguiti dagli allievi della Scuola Karibu o della Scuola Kamira?... La strada si trasformerebbe, anche sotto la pioggia battente, in un festival a cui, a ragione, si potrebbe dare il nome di: Gioia & Festa, Festa & Gioia... Oppure sarebbe anche bello se li sostituissimo con le voci dei ragazzi di strada che vengono alla nostra Comunità di Ibanda: sono un gruppo di mezzi ladruncoli e mezzi cotti da alcool e droga, ma vedendoli prima recitare il Padre Nostro in cerchio attorno ai grandi piatti di riso e fagioli e poi esplodere in risate fragorose, vien voglia di incidere un CD e di diffonderlo come antidoto all' inquinamento provocato dalla noia e dal piattume, dall'indifferenza e dalle stupide lamentele.

 

Qualcuno davanti a noi gesticola, ci fa segno: che segno?..troppo tardi: l'auto che ci precede  è finita in una buca profonda e purtroppo non è di sughero e quindi non galleggia. Che impresa tirarla fuori e riaprire un varco per far defluire la lunga coda che si è formata! Questa fila di veicoli mi fa di colpo tornare in mente la fila di seggiolini in bambù di cui si è dotato il piccolo orfanotrofio di Kilomoni per metter seduti i più grandicelli della quindicina di bebè che attualmente vi abitano. Le mamme di questi bimbi sono morte o durante il parto o pochi giorni dopo (per lo più per gravi infezioni o emorragie) e i loro papà non hanno la possibilità di trovare il latte per nutrirli... La suora che li segue, con l'aiuto di tre giovani donne, cerca di farli crescere sani e sereni: impresa non facile visto il contesto... Ogni vita ha parti "in sughero" e può stare a galla, ma anche parti "in piombo" e rischia di sprofondare se non c'è accanto una mano forte e amica..

 

A tratti le corsie di marcia che ci portano verso Nianghesi si restringono vertiginosamente davanti a noi; poi d'improvviso, là dove gli operai cinesi delle imprese che lavorano per la manutenzione delle strade (!) hanno potuto arrivare con le draghe, troviamo degli spazi inaspettati che ti farebbero fare un sospiro di sollievo se non vedessi cosa è costato l'ottenerli...: case dilaniate, affettate, spezzate a metà, ridotte a due stanze, una scala sospesa nell'aria, mezzo tetto...: impressionante questa devastazione, soprattutto perché senza nessun tipo di risarcimento. Il tutto sembra un palco di un teatro.. vorresti fosse un palco di un teatro.. invece è la vita vera di queste persone... "Come fate?...e  per l'acqua e per la luce?.." "Ci si arrangia..". Questa espressione, che suona come un misto di fatalismo e realismo, di costanza nell'accogliere e nel reagire alle problematiche quotidiane, è una frase uscita anche dalle bocche di alcuni Laici del Piccolo Disegno (cioè dei laici che vivono la nostra stessa spiritualità di Suore di San Giuseppe) presenti sia a Uvira che a Bukavu. "Chi ci sostiene è la luce del Vangelo e le parole di Padre Médaille che in una sua massima ci dice di non prendere mai gli imprevisti come ostacoli: la Provvidenza di Dio niente e nessuno può cancellarla!".

 

Con uno degli specchietti retrovisori sfioriamo un ragazzo che sta spingendo una bicicletta carica di pezzi di canna da zucchero: vacilla, ma non cade. Il suo sguardo sembra quello di Dani. Dani è il bambino che è venuto alla Missione due giorni prima di Natale con in braccio un cucciolo che, a prima vista, pare bello e simpatico. Con una voce molto triste Dani mi ha sussurrato, guardando per terra: "La mamma ha detto di portartelo". "Perché?.." "Non abbiamo vestiti.." . Il padre di Dani è morto da poco tempo e ha lasciato tre figli. La cosa più preziosa della loro casa è Bradog e la mamma ha pensato che il venderlo sia l'unico modo per acquistare pantaloncini e magliette. Dani, che ha circa 9 anni, avrà sentito raccontare, magari a catechismo, la vicenda di Abramo?.. Non so, ma a me, come un lampo, torna in mente la storia di "quel sacrificio" e vorrei che una mano fermasse il coltello che sta conficcandosi nel cuore di quel bambino chiamato a separarsi dal suo compagno di giochi più caro... Con tono serio gli domando: "Il cane è in buona salute?.." "Sì." "Mah...: forse, per essere sicuri, vorrei che venissi tu, tutti i giorni, a controllarlo, a vedere se cresce bene: potrai farlo?.." .  La giovane fronte si rialza e la luce di due stelle pare aver trovato casa nelle pupille del piccolo Abramo. "Certo! Verrò tutti i giorni!".

Ecco, ora, in RDC, nella Missione che abbiamo pinzata tra il lago Kivu e il fiume Ruzizi che  fa da frontiera con il Ruanda, ho un cane. E' un po' lontano da Torino, ma sono certa che questo cucciolo diventerà  grande e saggio perché, ed è questa la cosa importante, su di lui vigila un bambino vestito di nuovo. 

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