Il ricordo di padre Giuseppe Caviglia

Segretario del cardinale Anastasio Ballestrero, il carmelitano ligure di nascita da sette anni era nel Convento di Santa Teresa a Torino. Il ricordo di padre Zoppi e l'omelia del cardinale Severino Poletto alle esequie

Parole chiave: caviglia (1), ballestrero (5), carmelitani (2), chiesa (665), torino (730)
Don Caviglia con  il cardinale Ballestrero in udienza da Giovanni Paolo II nel 1980

All’ospedale San Vito in Torino, è tornato alla Casa del Padre Padre Giuseppe (Francesco) Caviglia, carmelitano scalzo, da sette anni di comunità nel Convento di Santa Teresa a Torino. Ligure di nascita è entrato ad undici anni nel Convento del Deserto di Varazze, adibito a Seminario minore. All’età di 15 anni vestiva l’abito carmelitano nel Noviziato di Loano emettendo i primi voti il

12 ottobre 1950. Iniziati i suoi studi al Convento di Sant’Anna in Genova, li proseguì in seguito a Roma, ove studiò teologia e fu ordinato Sacerdote il 5 aprile 1959. Dopo l’ordinazione, come tutti, ritornò nella sua Provincia Genovese, ma non vi rimase molto. Infatti un altro carmelitano genovese, Generale dell’Ordine in quel tempo, il Padre Anastasio Ballestrero, lo chiamò nuovamente a Roma per ricoprire l’ufficio di Segretario della Facoltà del Teresianum.

Fu così che divenne un volto familiare a tanti carmelitani di tutto il mondo che studiavano a Roma, molto gradito a tutti per la sua cordiale disponibilità a venire incontro alle svariate necessità degli studenti, per il suo costante sorriso e per un senso di paternità che cominciava a sviluppare nonostante l’età giovanile. Era scritto però che il suo legame con Padre Anastasio Ballestrero non terminasse con la cessazione del suo mandato di Generale dell’Ordine. Quando infatti nel 1974 padre Anastasio venne consacrato Vescovo di Bari, volle al suo fianco come segretario padre Giuseppe. A Bari si unì a loro sr. Antonina Volpe, e da quel momento si formò un terzetto inseparabile che si accompagnò nella buona e nella cattiva sorte per quasi venticinque anni, fino alla morte del Cardinale, avvenuta il 21 giugno 1998 a Bocca di Magra, ove si era ritirato nel 1989.

Furono anni importanti sia nel più breve periodo di Bari, sia, soprattutto, nei dodici anni di Torino quando l’Arcivescovo, divenuto nel frattempo Cardinale, ricoprì per sei anni il prestigioso ed oneroso compito di Presidente dei Vescovi Italiani. “Quando non ci sarò più ritorna in Provincia” era il testamento del Cardinale. E difatti P.Giuseppe alla morte del Cardinale rientrò nella sua Provincia di origine, la Provincia Ligure dei Carmelitani Scalzi, servendola per quasi diciannove anni, fino ad oggi, e ricoprendo vari ruoli di responsabilità. Fu Priore ad Arenzano dal 1999 al 2002, poi Priore a S.Anna in Genova dal 2002 al 2005, Direttore del Messaggero di Arenzano dal 2005 al 2010, infine superiore del Convento di S.Teresa in Torino nel 2010 ed in seguito nel 2014.

Questo suo “ritorno” a Torino aveva un sapore particolare: vi ritornava come superiore ad iniziare una presenza nuova per i Carmelitani di Liguria, chiamati a continuare in questo convento la presenza dei confratelli di Milano che si ritiravano. Al di là di queste responsabilità istituzionali si dedicò intensamente al servizio delle Monache Carmelitane di clausura, come confessore e padre spirituale, tutte doti che gli erano congeniali, e che mise a servizio anche di molti laici che lo ricercavano per la sua saggezza, il suo senso dell’amicizia, e il suo spirito soprannaturale.

Sia durante il suo servizio presso il Cardinale, sia dopo la sua dipartita, promosse e seguì con passione e competenza le edizioni dei numerosissimi scritti di P.Anastasio, quasi tutti trascrizioni di corsi di Esercizi spirituali, contribuendo in maniera decisiva alla diffusione del suo magistero profondo e sapiente. Ultimamente, quasi come un presagio di commiato, aveva pubblicato “Un’ombra che non fa ombra”, un’accoppiata di due biografie parallele – quella del Cardinale e la sua – a suggellare un rapporto di comunione intenso e mai finito - neppure dopo la morte di padre Anastasio – e che, soprattutto ora che anche sr.Antonina ha da pochissimo oltrepassato la soglia di questo mondo, - si è ricomposto in una dimensione definitiva di luce, di gioia e di pace.

Card. Severino Poletto  durante il funerale di padre Giuseppe Caviglia, che dal 1973 in poi è stato segretario del Servo di Dio card. Anastasio Ballestrero (Arcivescovo di Torino dal 1977 al 1989). Il funerale, presieduto da S.Em.R. card. Severino Poletto è stato celebrato nel Duomo di Torino, oggi, 18 gennaio, alle ore 11.

OMELIA IN MORTE DI P.GIUSEPPE CAVIGLIA

 

Premessa

 

Ringrazio il Padre Provinciale dei Carmelitani Scalzi per avermi invitato a presiedere questa liturgia funebre di Padre Giuseppe Caviglia, che il Signore ha chiamato in cielo a ricevere il premio dei giusti la mattina del 16 gennaio. Ciò che mi ha fatto sentire vicino a questa limpida e umile figura di Padre carmelitano è una numerosa serie di incontri con lui quando le circostanze della mia vita mi hanno portato a legare la mia storia personale al grande Padre della Chiesa e uomo contemplativo di Dio, quale fu l'indimenticabile Servo di Dio, il Cardinale Anastasio Ballestrero dal quale fui ordinato Vescovo il 17 Maggio 1980 nel duomo di Casale Monferrato e col quale ho sempre avuto legami di amicizia, che per lui erano di paternità spirituale e per me riferimento sincero e profondo, non solo come confratello Vescovo, ma soprattutto da quando mi volle segretario della Conferenza episcopale piemontese.

 

Da allora divenni tra i suoi confidenti privilegiati sui vari problemi della Chiesa e della sua missione e sulle sue esperienze straordinarie di "Guida", prima come Padre Generale dei Carmelitani Scalzi e poi come Presidente della Conferenza episcopale italiana. Mi parlava anche delle sue abituali frequentazioni col Papa per esprimere con la sua consueta schiettezza le sue impressioni e suggerimenti sulla vita della Chiesa italiana in particolare, ma anche sulla Chiesa universale.

 

Ebbene ogni volta che incontravo il Cardinale Ballestrero sempre avevo l'occasione di vedere Padre Giuseppe, il quale, accanto al Cardinale visse gran parte della sua vita come "Un'ombra che non fa ombra", come ha voluto esprimere con il titolo di una sua recente pubblicazione.

Egli viveva il suo compito come una responsabilità di non mettere mai in risalto se stesso, ma sempre la figura, il pensiero e le linee pastorali del suo Cardinale. Ora si sono già certamente incontrati in cielo a lodare e contemplare quel Dio che tanto hanno amato e annunciato qui sulla terra.

 

Quali riflessioni possiamo fare ora dinnanzi alla bara di Padre Giuseppe e specialmente dinnanzi all'altare del Signore?

 

1° Innanzitutto dobbiamo esprimere a Gesù un grande ringraziamento per quello che è stata la vita e l'opera di P. Giuseppe. Si può dire che tutto della sua persona l'ha sempre donato al Signore fin dall'età di undici anni quando è entrato nel Convento di Varazze per diventare religioso carmelitano fino all'ultimo momento della sua esistenza terrena. Visitandolo alcune volte al Cottolengo durante la sua ultima malattia ho sempre visto in lui una serenità ed una pace che soltanto chi si sente in comunione col Signore e soprattutto avverte che ormai si avvicina il momento della morte sa esprimere in poche parole il desiderio di vedere finalmente faccia a faccia quel Dio da lui tanto amato nel tempo della sua esistenza terrena.

 

È ciò che ci diceva san Paolo nella prima lettura che abbiamo ascoltato (2Cor 5,1.6-10): "Noi sappiamo (perché ce l'ha detto Gesù!) che quando sarà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo da Dio una dimora eterna. Perciò viviamo qui nel mondo come fossimo in esilio desiderosi di andare ad abitare presso il Signore. È per questo che ci dobbiamo sforzare di essere graditi a Dio".

 

Questa è stata la direzione di vita che P. Giuseppe ha sempre dato alla sua persona. Penso che alla fine, pur nella fatica della morte, nel cuore di P. Giuseppe risuonavano come preghiera le parole del Salmo responsoriale che abbiamo anche noi proclamato: "Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore".

 

2° Una seconda parola mi sento di dire a quanti hanno avuto il dono di usufruire del suo ministero come confessore e direttore spirituale.

Avete il dovere di custodire e vivere come sua eredità quanto della sua ricchezza spirituale vi ha comunicato. Nella vita non si incontrano mai delle persone per caso: è il Signore che ce le mette sulla nostra strada per camminare spediti verso la santità. Guai dimenticare e non vivere quanto Gesù vi ha detto attraverso le parole di questo saggio uomo di fede.

 

3° E finalmente una terza riflessione che dobbiamo fare ce la offre la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato. Gesù ci parla della sua morte con l'immagine del chicco di grano che per diventare spiga deve prima morire sepolto nella terra. Se questo ha sperimentato Gesù, crocifisso, morto, sepolto e risorto, allora si comprende quale anche per noi debba essere la strada di salvezza. Non siamo stati creati per stare sempre in questo mondo a goderci la vita secondo i nostri egoismi. La vita ci è stata data per donarla al Signore e ai fratelli e solo così si arriva alla visione beatifica di Dio per tutta l'eternità. È questo il significato delle parole di Gesù che abbiamo

ascoltato: "Chi ama la sua vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo (col significato di fame dono a Dio e ai fratelli) la conserverà per la vita eterna. "Così ha fatto Padre Giuseppe e così dovremmo fare anche noi nei nostri ambienti.

 

Dobbiamo uscire da questa chiesa con un rinnovato impegno di vita cristiana e con una grande speranza: la mèta finale della nostra esistenza non è una bara, ma una trasformazione delle nostre persone da terrene a celesti. È con questa speranza che dobbiamo vivere come ci diranno presto le parole del Prefazio: "Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno viene preparata un 'abitazione eterna nel cielo".

 

Conclusione

 

Affidiamo la carissima persona di P. Giuseppe alla beata Vergine del Carmelo, alla quale egli ha consacrato la sua persona per essere guidato verso Gesù ed anche a San Giuseppe del quale il Padre ha portato il nome, ma con la fiducia che anche per noi, in vita e in morte, non ci abbandoni mai la custodia della fede e della grazia la protezione di Gesù, Maria e Giuseppe. Coi loro nomi sulle labbra vogliamo vivere e soprattutto, quando sarà la nostra ora, vogliamo concludere il nostro pellegrinaggio terreno.»

Tutti i diritti riservati

Attualità

archivio notizie

16/02/2018

La biblioteca personale di Carlo Donat-Cattin

La riunificazione di migliaia di volumi per continuare a studiare, vita, pensiero e azione politica del leader democratico cristiano in vista del centenario della nascita

16/02/2018

Meditazione sul Crocifisso

La riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta per il Venerdì Santo 2016. Perchè interrogarsi fino in fondo

16/02/2018

Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria

Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione 

16/02/2018

Milioni di volti

Negli sguardi dei più disperati e poveri l'amore di Gesù Cristo