Il patto delle catacombe e la chiesa dei poveri

Cinquant'anni dopo il Concilio, Papa Francesco ripropone il tema 

Parole chiave: catacombe (1), poveri (38), roma (29), concilio (28), papa (648)
Il patto delle catacombe e la chiesa dei poveri

«Come vorrei una Chiesa povera per i poveri». Molti stupirono per la frase pronunciata da Papa Francesco all’inizio del pontificato quando ricevette il 16 marzo 2013 oltre 6 mila giornalisti che avevano seguito il Conclave che tre giorni prima lo aveva eletto.

Le radici di una «Chiesa povera per i poveri» sono molto antiche. Da sempre la Chiesa ha sentito che nel messaggio del Vangelo i poveri occupano un posto privilegiato, che sono i primi «clienti» di diritto dell’«Evangelo, buona notizia», che nell’atteggiamento verso di loro, bisognosi e ultimi, si decide la partecipazione al Regno di Dio o la via mortifera della dannazione.                                                            

Il grande teologo francese Yves-Marie-Joseph Congar (1904-1995) precursore – insieme a Jean Daniélou e Hanri de Lubac – di quella teologia che ha portato i suoi frutti nel Concilio Vaticano II, in tempi non sospetti difese i «prêtres ouvriers, preti operai» e nel 1963, in pieno Concilio, scrisse un piccolo libro «Pour une Église servante et pauvre, Per una chiesa serva e povera» che è stato ripubblicato nel 2014 dall’editrice Qiqajon della comunità ecumenica di Bose guidata da Enzo Bianchi.     

                                                                                                                      

 Il volume non ha mai perso importanza né attualità. Nella premessa Congar scrive: «Ci auguriamo che la Chiesa si guardi nello specchio del Vangelo, si interroghi sul suo adeguarsi alle esigenze del mondo, si adegui a quell’intento di verità evangelica di cui il Vaticano II ha fatto la sua ragione profonda».                               

Il 16 novembre 196, cinquant’anni fa, 42 vescovi di 15 Paesi diversi, tra i quali molti latinoamericani, concelebrarono l’Eucaristia, presieduta dal vescovo belga Charles-Marie Himmer, nelle catacombe di Santa Domitilla, che ospita le tombe di oltre 100 mila cristiani dei primi secoli. Poi ben 500 vescovi sottoscrissero il«Patto delle catacombe» impegnandosi a rinunciano ai lussi e ai privilegi e a lavorare «per una Chiesa povera e per i poveri». Tra essi il brasiliano dom Helder Camara, arcivescovo di Olinda e Recife in Brasile - estensore del documento e per lui è in corso la causa di beatificazione -; l’italiano Luigi Bettazzi, 92 anni, vescovo emerito di Ivrea (Torino); l’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Arnulfo Romero, martire ucciso dagli «squadroni della morte» e beato dal 13 maggio 2015; il vescovo argentino mons. Enrique Angelelli, morto in un incidente sospetto nel 1974, che padre Jorge Mario Bergoglio conobbe quando era superiore dei gesuiti dell’Argentina; il vescovo brasiliano José Maria Pires, uno dei pochissimi ancora in vita. In Concilio nacque una profonda amicizia tra Camara e Pellegrino: l’arcivescovo di Torino nei suoi scritti più volte citò il confratello brasiliano, lo invitò a Torino e andò a visitarlo in Brasile, accompagnato da don Franco Peradotto.                                                                                                             

I vescovi assumevano l’impegno a condurre una vita povera, cioè a «vivere come vive ordinariamente le nostre popolazioni per l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e il resto»; rinunciavano « ai lussi, agli abiti e alle stoffe ricche e ai colori sgargianti, ai simboli di potere, agli ornamenti in oro e argento, alla proprietà di beni immobili e al conto in banca»; rifiutavano di essere chiamati «oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere: eminenza, eccellenza, monsignore; preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di “padre”». No anche all’amministrazione diretta delle finanze: «Nel nostro comportamento e nelle nostre relazioni eviteremo ogni privilegio, priorità, preferenza ai ricchi e ai potenti, a esempio banchetti offerti o accettati, e nei servizi religiosi. Eviteremo le vanità, le ricompense, i doni. Tutte le volte che sarà possibile affideremo la gestione finanziaria  delle nostre diocesi a una commissione di laici competenti e consapevoli, al fine di essere noi meno amministratori e più pastori e apostoli».                                                                                                                       

L’impegno per i poveri nel «Patto» si fonda sulle esigenze di giustizia e carità e sull’impegno a «trasformare le opere di beneficenza in opere sociali». I vescovi chiedevano ai governanti di attuare leggi, strutture, istituzioni«alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e integrale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini». Consapevoli dell’estrema povertà dei due terzi dell’umanità, si impegnavano a «contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti nelle Nazioni povere» e a chiedere agli organismi internazionali, «come ha fatto Paolo VI all’Onu», che vi era andato il 4 ottobre 1965, «l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più Nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che non permette alle masse povere di uscire dalla miseria».                                                                                                                                                  

L’impegno di povertà personale e di stile povero della pastorale ispirò moltissimi gruppi, e in particolare l’impegno del gruppo «Chiesa dei poveri» fondato dal prete operaio francese Paul Gauthier e dalla religiosa carmelitana Marie-Therèse Lescase. Erano tempi in cui si avvertiva acutamente la miseria dei poveri nel Sud del mondo e l’ansia missionaria delle giovani Chiese uscite dal colonialismo. In moltissime comunità vi era un acceso dibattito sul tema della povertà. Alcuni pastori diedero alle loro comunità testi di alta qualità teologica, testi profetici che ricevettero l’attenzione e l’approvazione di Paolo VI, anch’egli molto sensibile al tema della povertà. A Torino il cardinale Michele Pellegrino scrisse la lettera pastorale «Camminare insieme» (1971); a Roma l’abate benedettino di San Paolo fuori le mura dom Giovanni Battista Franzoni scrisse «La terra è Dio» (1973). Entrambi facevano «la scelta dei poveri», dove «scelta» stava per imperativo etico e dovere pastorale.                                                                                                                 

 In un discorso del 24 giugno 1970 Paolo VI disse che il Concilio aveva richiamato alla «povertà personale ed ecclesiale», citò «lo spirito di po­vertà e di amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa», ricordò il discorso che nell’aula conciliare il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, intervenne il 6 dicem­bre 1962 insistendo su l'«aspetto della povertà» chela Chiesa deve mo­strare agli uomini l'aspetto con il quale si è rivelato il mistero di Cristo e la scelta preferenziale fra i poveri. Negli anni il «Patto delle catacombe» ha trovato numerose opposizioni ed è stato vissuto in maniera sotterranea più che palese.

Ora Papa Francesco ricorda che l’invito a una vita povera in senso evangelico, rimanda allo «stile di Dio» che si è rivelato non con i mezzi della potenza e della ricchezza ma con quelli della debolezza e della povertà. Papa Francesco ha avviato coraggiosamente la riforma della «Chiesa povera per i poveri».

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