Il martirio dei cristiani nei lager nazisti

Il «Martirologio del clero italiano 1940-1946» e il sacrificio di tanti laici cattolici contro il nazifascismo

Parole chiave: nazifascismo (1), sterminio (1), cattolici (72), resistenza (23), lager (3), memoria (14)
Il martirio dei cristiani nei lager nazisti

Nella sua lucida e diabolica follia Adolf Hitler non voleva solo lo sterminio degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari, dei malati di mente. Voleva la distruzione di quanti si opponevano e combattevano il nazifascismo. Voleva distruggerela Chiesa cattolica, invadere il Vaticano, sequestrare e deportare Pio XII, uccidere cardinali,  vescovi e preti. Nei campi di sterminio, ai ministri di culto, specie cattolici, si riservano le più raffinate umiliazioni con sadismo tutto nazista. A Dachau a un prete cattolico tedesco un aguzzino delle SS mette la corona del rosario sulla testa, con la croce pendente sulla fronte e, a pugni e calci, gli fa girare il campo urlando: «È arrivato final­mente il primo maiale di prete. Poi arriverà anche il gran prete di Roma e allora la truffa cattolica finirà una volta per tutte».

Il «giorno della memoria» viene celebrato il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le vittime dell’Olocausto degli ebrei: è il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta 70 anni fa, il 27 gennaio 1945, a opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa.

Centinaia i sacerdoti cattolici uccisi dai nazisti, dai fascisti o dai loro alleati in Europa: in Germania 164 preti diocesani e 60 religiosi tedeschi; nella Francia del   regime-fantoccio di Vichy del maresciallo Philippe Pétain. In Polonia una vera «mattanza» di preti: 3 mila, di cui 1.992 nei campi di concentramento e 787 a Dachau. In Germania il giovane gesuita Alfred Delp è ucciso perché accusato di complicità nel fallito attentato contro Hitler. Padre Tito Brandsma, carmelitano olandese, beato dal 1985, è deportato e ucciso a Dachau per la sua opposizione al nazismo e per la sua strenua difesa della libertà religiosa. Il francescano polacco Massimilano Kolbe, santo dal 1982, è martire della fede e della carità

Secondo il «Martirologio del clero italiano 1940-1946», pubblicato dall’Azione Cattolica nel 1953, ben 729 ecclesiastici sono uccisi «in odium fidei» dai fascisti e poi comunisti, da don Giovanni Minzioni massacrato dai fascisti a Ravenna nel 1923 a don Umberto Pessina assassinato dai comunisti nel giugno 1946, al 33enne don Giuseppe Rossi assassinato dai fascisti sulle montagne del Novarese.

Prima dell’8 settembre 1943 muoiono 422 preti, cappellani militari e periti sotto i bombardamenti alleati; 191 morti nella Resistenza: 158 trucidati dai tedeschi e 33 dai repubblichini. Ben 108 vittime dei partigiani comunisti, specie nell’Emilia rossa: 53 durantela Resistenza, 14 prima della Liberazione; 41 dopo. Stare al fronte è meno pericoloso che rimanere all’ombra del campanile. Dei 408 preti morti violentemente, 238 sono parroci, 41 viceparroci, 129 seminaristi, novizi e religiosi laici..

In Italia molti preti sono uccisi perché si oppongono all’infame regime fascista, cercano di proteggere il popolo, nascondono e salvano ebrei, avversari politici, aviatori inglesi e americani. Il toscano don Aldo Mei è arrestato e fucilato per aver dato rifugio a un giovane ebreo: «Muoio per un motivo di carità, per aver protetto e nascosto un carissimo giovane. Raccomando a tutti la carità».

Don Pietro Pappagallo di Roma è ucciso alle Fosse Ardeatine per aver dato rifugio a ebrei e ad altri perseguitati: riesce a liberare le mani e a benedire i compagni di sventura. A Monte Sole, sull’Appennino emiliano-­romagnolo, cinque sacerdoti immolati, tra cui don Ubaldo Marchioni, 25 anni, morto ai piedi dell’altare dopo aver distribuito l’Eucaristia. Il parroco don Giuseppe Bernardi e il vice don Mario Ghibaudo sono assassinati nella strage di Boves (Cuneo) perché cercano di proteggere i parrocchiani. Don Antonio Musumeci, parroco di Messina, chiede di risparmiare due anziani coniugi. Don Gino Cruschelli di Napoli è ucciso per aver preso le difese dei giovani rastrellati.

Il socialista Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, testimonia su don Giuseppe Morosini: «Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, lo incontrai un mattino: usciva da un interrogatorio delle SS, il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede. Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: “Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno”, come Cristo sul Golgota”».

Quello di Dachau, a 16 km a nord-ovest di Monaco di Baviera, è il primo campo di concentramento, aperto appena un mese dopo la presa del potere di Hitler il 30 gennaio 1933. È un modello per tutti i lager, scuola di omicidio delle SS, «terrore senza pietà». Vi transitano attraverso la «porta dell'inferno» - sormontata da una grata in ferro battuto con la scritta «Arbeit mach frei. Il lavoro rende liberi» - 200 mila prigionieri: 41.500 vi muoiono e di loro non rimane neppure un mucchietto di cenere.

Nel «Blocco dei sacerdoti, il 26» dei 2.720 ministri di culto – di cui 2.579 sacerdoti cattolici – 1.034 muoiono, tra cui 868 polacchi. Il beato Michal Kozal, vescovo polacco, malato di tifo ucciso il 26 gennaio 1943 con un'iniezione letale: il suo corpo è incenerito nel forno crematorio; il beato Stefan Wincenty Frelichowski; il beato Stefan Grelewski, morto di fame; il beato Alojs Andritzki, ucciso con un’iniezione il 3 febbraio 1943; il beato Georg Häfner, morto di stenti; il beato Gerhard Hirschfelder, morto di fame e malattia; il beato Marian Konopinski. Il gesuita polacco Adam Kozlowiecki, poi missionario e cardinale, resiste dal gennaio 1940 alla liberazione il 29 aprile 1945. Singolare la storia del beato Karl Leisner: liberato il 4 maggio 1945, muore il 12 agosto di tubercolosi. Diacono, è ordinato sacerdote in gran segreto da Gabriel Piguet, vescovo  di Clermont-Ferrand.

Il libro «Religiosi nei lager. Dachau e l’esperienza italiana», a cura di Federico Cereja, raccoglie gli atti del convegno internazionale celebrato a Torino il 14 febbraio 1997. Da Dachau passano 2.796 preti: 1.808 polacchi, 333 tedeschi, 169 francesi, 159 cecoslovacchi, 101 austriaci, 64 olandesi, 46 belgi, 43 lituani, 29 italiani, 17 jugoslavi, e poi Lussemburgo, Romania, Grecia, Inghilterra, Norvegia, Albania, Svizzera, Spagna, Ungheria, Danimarca. In tutto i sacerdoti e i religiosi italiani nei lager sono stati 212.

A Dachau muore il domenicano albese appartenente alla diocesi di Torino Giuseppe Girotti, nato ad Alba il 19 luglio 1905, annoverato tra i giusti tra le nazioni per il suo aiuto agli ebrei nell’Olocausto, per i quali sacrifica la vita: deportato a Dachau muore  il giorno di Pasqua, 1º aprile 1945: beato dal 26 aprile 2014. Vi muoiono il trentino don Alessandro Mettigli (Trento) ucciso il 18 febbraio 1944 «per aiuto ai partigiani»; il genovese don Luigi Pinamonti «Azione Cattolica».

A Dachau finiscono: don Giovanni Fortin (Padova) «aiuto ai prigionieri di guerra»; padre Carlo Manziana, oratoriano di Brescia e futuro vescovo, «convince gli studenti a non combattere insieme ai tedeschi»; don Pietro Paternò (Enna) «contatti con i partigiani»; don Rodolfo Posch (Trento) «perché direttore del settimanale cattolico “Dolomiten”»; don Giacomo Bellotto (Udine) «collegamento con i partigiani»; don Ludovico Aldrighetti (Verona) «aiuto ai partigiani»; don Mauro Bonzi (Milano) «rifornisce armi ai partigiani»; don Costante Berselli (Mantova) «spionaggio, avviato contatti segreti con VIII Armata, membro del CLN»; don Angelo Dalmasso (Cuneo) «aiuto ai partigiani»; don Roberto Angeli (Livorno) «sospetto spionaggio»; don Andrea Campi (Genova) «attività antitedesca»; don Mario Crovetti (Modena) «aiuto ai partigiani»; don Giuseppe Elli (Bologna) «favorisce la fuga in Svizzera di prigionieri di guerra alleati»; don Francesco Foglia (Susa) «appartenente a organizzazione partigiana e attività antitedesca»; don Mario Grazioli (Reggio Emilia) «nasconde ebrei e li aiuta a fuggire»; don Paolo Liggeri (Milano)  «aiuto ai partigiani»; don Enzo Neviani (Reggio Emilia) «contatti con i partigiani»; don Guido Pedrotti (Bolzano) «aiuto ai partigiani»; don Luigi Pinamonti (Genova) «membro Azione Cattolica»; don Giovanni Tavasci (Como) «rifiuto del servizio militare»; don Camillo Valota (Sondrio), non indicato; don Agostino Vismara (Bergamo) «aiuto ai detenuti politici»; padre Gianantonio Agosti (cappuccino di Milano) «contatti con i partigiani»; don Enrico D’Agostini (Udine), «arrestato come ostaggio»; don Albino Fabbro (Udine), «aiuto ai detenuti ebrei e politici»; don Eugenio Marin (Udine) «attività illegale, aiuto e rifugio ai detenuti politici e partigiani feriti»; don Antonio Seghezzi (Bergamo), «aiuto agli ebrei nel lager di Bolzano»; padre Franz Breitenberger (cappuccino di Merano), «aiuto a prigionieri inglesi e americani»; don Mireslav Vekjet (Trieste) «favorisce la fuga a giovani di 24-25 anni versola Svizzera, aiuta prigionieri di guerra inglesi e americani».

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