Il cardinale Anastasio Ballestrero e la costruzione della Gaudium et Spes

Il carmelitano e vescovo e perito al Concilio

Parole chiave: Concilio (28), vaticano (68), Ballestrero (5)
Il cardinale Anastasio Ballestrero e la costruzione della Gaudium et Spes

Era l’ultima notte di lavoro al Concilio. Il mattino dopo, il 7 dicembre 1965, i «padri» dovevano votare e approvare gli ultimi due documenti dei 16 che il Vaticano II aveva prodotto in quattro anni: il decreto «Presbyterorum ordinis» sulla vita e il ministero dei sacerdoti, e il documento più importante, la «costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo». Paolo VI era stato chiarissimo: «O la approvate così com’è, oppure non la approvate. Io non ritardo la chiusura del Concilio (fissata per l’8 dicembre, n.d.r.) e il documento rimane non approvato».

Quella notte di cinquant’anni fa, verso le due del mattino, ormai allo sca­dere del tempo,la Commissioneteologica esaminava l'ultima stesura e stava per commettere uno spiacevole e clamoroso errore. Il documento iniziava con le parole «Luctus et angor, gaudium et spes hominum… Le tristezze e le angosce, le gioie e le speranze degli uomini». Al corpulento preposito generale dei Carmelitani scalzi quell’«incipit» del documento non piaceva e fece notare ai colleghi commissari la grave incongruenza, che contraddiceva clamorosamente lo spi­rito ottimistico del testo. Così «Angor et luctus» divenne «Gaudium et spes».

Quel frate era padre Anastasio del SS. Rosario. Nel 1974 Paolo VI nomina Anastasio  Alberto Ballestrero arcivescovo di Bari e nel 1977 lo promuove arcivescovo di Torino.

Di Papa Montini quel carmelitano ha un grande ricordo, che compare in «Autoritratto di una vita. Padre Anastasio si racconta», la «autobiografia inconsapevole» egregiamente curata dal segretario padre Giuseppe Caviglia e dall’allora direttore de «La Voce del Popolo» Marco Bonatti e pubblicata dalle Edizioni Ocd nel 2002: «Paolo VI era un uomo che rifletteva, pensa­va, soffriva. Però come ha por­tato avanti il Concilio! Molte volte noi della Commissione dottrinale, alla fine della giornata, mandavamo su il lavoro (all’appartamento pontificio, n.d.r.) e, a volte, quando c’erano questioni e problemi, la giornata fi­niva molto tardi. Eppure la mattina dopo, all'aprirsi dell’assemblea, puntuale c'era la bozza postillata dal Papa, di suo pugno: aveva lavorato tutta la notte. E ha fatto questo con tutti i testi del Concilio».

Aggiunge: «Quando si mise in cantiere la costituzione “De Ecclsia” c'era il problema se parlare o no della Madonna. E non fu pic­cola impresa riuscire a parlar­ne. Il Papa lo disse, lo volle. Un giorno arrivò una postilla del Papa che domandava alla Commissione di introdurre nel testo l'appellativo “Madre della Chiesa”. Si scatenò un putiferio e la votazione risultò contraria al desiderio del Papa. Il foglio di lavoro andò su da lui e non se ne parlò. Ma il Papa in un discorso chiamala Madonna“Ma­dre della Chiesa”. E così passò. Rimane il fatto che nei docu­menti del Concilio l'espressio­ne “Mater Ecclesiae” non c'è. Però la forza di chiamarla “Madre della Chiesa”, nonostante tutto! Io ricordo che ci si guardava in faccia: chi ha detto di no? La maggioranza? E questo pover’uomo ne ha inghiottite, però non cedeva».

Nel discorso finale della terza sessione del Concilio, il 21 novembre 1964, Paolo VI infatti afferma: «A gloria della Vergine e a nostro conforto, proclamiamo Maria Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei pastori, che la chiamano Madre amorosissima; e vogliamo che con tale titolo soavissimo d'ora innanzila Verginevenga ancor più onorata e invocata da tutto il popolo cristiano». Poi dedica l’esortazione apostolica «Signum magnum» (13 maggio 1967) alla «necessità di venerare e imitarela Vergine Maria, madre della Chiesa ed esempio di tutte le virtù».

Benedetto XVI, l’8 dicembre 2005, riferendosi al Concilio quando aveva 37 anni ed era «perito teologico», racconta: «Resta indelebile nella mia memoria il momento in cui, sentendo le parole di Paolo VI "Mariam sanctissimam declaramus matrem Ecclesiae. Dichiariamo Maria santissima madre della Chiesa", spontaneamente i padri conciliari si alzarono di scatto dalle loro sedie e applaudirono in piedi rendendo omaggio alla Madre di Dio, a nostra Madre, alla Madre della Chiesa. Con questo titolo il Papa riassumeva la dottrina mariana del Concilio».

Di Papa Montini l’arcivescovo di Torino ricorda «quella famosa nota sulla collegialità dei vescovi. L'ha imposta e basta. E l’ambiente conciliare si scaldava, contro questa fermezza con cui il Papa portava avanti le cose. Se non ci fosse stata la fermezza di Paolo VI la “Gaudium et spes” non sarebbe passata».

Ballestrero aveva chiarezza di idee, consapevolezza della profondità del cambiamento innescato dal Concilio e avvertiva l’assoluta necessità di tornare alle radici della fede e della vita religio­sa e spirituale. Nel documen­to inviato nel 1960 alla Commissione preparatoria si trovano molte proposte. Per esempio indica come dovere grave quello dell'istruzione religio­sa per bam­bini, giovani e adulti. Suggerisce di «redigere un testo di catechismo perla Chiesauniversale che sia come una norma per la re­dazione di tutti gli altri catechismi», progetto che si realizzerà trent’anni dopo con il «Catechismo della Chiesa cattolica» che Giovanni Paolo II approverà l’11 ottobre 1992.

Finito il Concilio, Ballestrero ne diventa un ap­prezzato e fedele divulgato­re nell’Ordine car­melitano, nelle diocesi di Bari (1974-1977) e di Torino (1977-1989) e nella Chiesa italiana come presidente della Conferenza episcopale (1979-1985).

La «Gaudium et spes», il documento più famoso, lungimirante e ottimista del Vaticano II, chiude il conflitto trala Chiesae il mondo, che si era aperto nel Seicento, «il secolo dei lumi» e che si era aggravato nei secoli successivi.

Gregorio VI (1831-1846) nell’enciclica «Mirari vos» (1832) se la prende con coloro che «eruttano malvagità dalla sozza loro bocca», tratta da nemici i rappresentanti dell'«ora della potestà delle tenebre», parla di cospirazione «di quelle Società nelle quali sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v'ha di sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette più scellerate». Pio IX (1846-1878) all’enciclica «Quanta cura» allega il «Syllabus» (1864) che condanna 80 errori, dal liberalismo all’ateismo, dal comunismo al socialismo, dall’indifferentismo al matrimonio civile: «In questi tempi gli odiatori d'ogni verità e giustizia e i nemici acerrimi della nostra religione, ingannando i popoli con libri, libelli e giornali pestilenziali, e maliziosamente mentendo, spargono altre empie dottrine d'ogni genere». L’80ª proposizione disapprova chi sostiene che «il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e farsi amico con il progresso, il liberalismo e la civiltà moderna».

Con il Concilio la Chiesa vuole partecipare alla vita e alla storia dell’uomo senza rinunciare al discernimento e, se necessario, alla condanna del comunismo ateo, della guerra specie atomica, dell’aborto definito dal Vaticano II «abominevole delitto».  

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