Un progetto di vita familiare, «Imparare dai fallimenti»

Il Sinodo ci indica la strada. Rinnovare l'annuncio della bellezza e ricchezza del matrimonio

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Un progetto di vita familiare, «Imparare dai fallimenti»

Ogni vita umana, nella sua unicità, è un mistero che si dispiega nel tempo e si sviluppa attraverso quelle scelte che liberamente si assumono e si realizzano. Quando si accosta l’intreccio di due vite e, ancor di più, il fallimento di una scelta d’amore che avrebbe voluto abbracciare tutto la vita, occorre evitare ogni giudizio e soprattutto ogni automatismo, perché resta il grande mistero della libertà e dell’unicità di eventi che non si possono inscatolare e classificare in nome di un principio o di uno schema. «Imparare dai fallimenti» è allora una provocazione che vuole raccogliere la particolare esperienza, che il Tribunale Ecclesiastico intercetta accostando le richieste di nullità matrimoniale, per provare a domandarsi che cosa si potrebbe realizzare nella preparazione dei fidanzati per evitare che altre coppie giungano a porre fine al loro matrimonio.

In tal senso, senza voler generalizzare o banalizzare, l’esperienza delle cause di nullità fa emerge come alcuni passaggi della preparazione prossima alle nozze non riescano a trasmettere e far prendere coscienza alle coppie quella ricchezza e bellezza che il sacramento del matrimonio custodisce come dono e non solo come impegno. Ugualmente problematica sembra essere la preparazione remota, laddove non si riesca a far maturare, in chi sceglie il matrimonio, la consapevolezza che si tratti di una vocazione e di uno stile di vita che non si può ridurre né all’illusione dell’amore né alla festa della celebrazione. Ancor di più questo emerge nel caso di coppie che abbiano scelto di convivere per provare ciò che il matrimonio sia, e ciononostante arrivino al fallimento e persino alla celebrazione di un matrimonio nullo. Quali sono allora i punti critici che, a valle del fallimento, si possono trovare e da cui lasciarsi interrogare?

In primo luogo emerge la mancanza di un serio accompagnamento e discernimento. Chi si accosta alle nozze religiose, anche dopo un tempo di convivenza o matrimonio civile, si basa su convincimenti personali, a volte anche distorti, su soluzioni ai problemi che diventano un modo per evitarli e non affrontarli, su pressioni sociali, anche in ambito ecclesiale, che tendono a nascondere la complessità della scelta dietro alla presunta forza della «benedizione» di Dio o al conformarsi a un progetto di vita familiare, che i due futuri sposi non hanno mai fatto veramente proprio. Anche le conclusioni del Sinodo indicavano come il matrimonio cristiano sia «una vera chiamata di Dio che esige attento discernimento, preghiera costante e maturazione adeguata» (n. 57), senza che questo possa mai diventare un modo per sostituirsi alla responsabilità dei due futuri sposi o possa nascondere le loro fragilità umane dietro a presunte soluzioni «spirituali».

Il secondo grande ambito critico è quello dei corsi/percorsi di preparazione al matrimonio. Si è passati da proposte che mettevano al centro i problemi della coppia ad altre che tendono a proporre un approfondimento della fede, quasi che bastasse credere per realizzare quel dono di amore che chiede la totalità della vita. Anche l’obbligatorietà dei corsi ha messo in atto tutta una serie di sotterfugi, o di ricerche del cammino meno scomodante e della proposta minimale a fronte di una scelta che invece coinvolge tutta la vita. Ancor peggiori sono le situazioni di ricatto «morale» realizzate in vista di un maggiore coinvolgimento delle coppie nella vita parrocchiale, che non lasciano traccia come il seme nel terreno sassoso o spinoso della parabola evangelica. Infine, resta l’ambito che può apparire più burocratico, sia legato al processicolo, sia nelle varie licenze o dispense che nei casi complessi vanno richieste in vista della celebrazione.

Qui in Tribunale si raccoglie un vasto campionario di mancati approfondimenti, di superficialità, di reciproche «menzogne» per cui il parroco non domanda e i futuri sposi non dicono per evitare di non dover/poter celebrare quelle nozze che già hanno il germe del fallimento o, più gravemente, già partono segnate dalla concreta possibilità della nullità. Un misto di accondiscendenza e di buonismo che produce di fatto l’esposizione di quella coppia ad una scelta immatura, irresponsabile, o anche solo deformata in base alle proprie convinzioni del momento, e quindi incapace di abbracciare la vita e di essere espressione non del sentimento forte e abbagliante, ma di quell’amore fedele, unico, e frutto di una scelta consapevole e adulta che, solo, è in grado di avere la forza del tempo. In queste righe non possono trovare posto che alcune suggestioni.  Le sfide che stiamo vivendo, e il confronto a partire da quei fallimenti che giungono al Tribunale Ecclesiastico (anche se ancora troppo pochi rispetto al gran numero di separazioni e divorzi), saranno l’occasione per provare a dare inizio ad una riflessione che possa partire dalle conclusioni del Sinodo per rinnovare l’annuncio della bellezza e ricchezza del matrimonio a chi si accosta alle nostre comunità per domandare di vivere quel sacramento che consacra l’amore e la scelta del dono di tutto se stessi e dell’accoglienza dell’altro. Una scelta che non può che essere libera, consapevole e responsabile, ma che cela in sé quel mistero che dobbiamo poter riscoprire e testimoniare come pienezza di vita e risposta alla chiamata di Dio.

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