Don Ciotti: verità e giustizia contro mafia e corruzione

"L'eresia della verità", il nuovo libro del fondatore del Gruppo Abele

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Don Ciotti: verità e giustizia contro mafia e corruzione

È un piccolo breviario di pensieri forti, ma anche di volti, di storie, di sfide e di sogni, «L’eresia della verità» di Luigi Ciotti (edizioni Gruppo Abele). Protetto da un filo rosso che è la consapevolezza della «responsabilità della parola», l’etica della parola, che ne recupera la sacralità. Ne respinge le manipolazioni, l’uso retorico e strumentale per cercare di risanare la frattura che si è creata, nel caotico e compulsivo pianeta mediatico, fra le parole e la realtà.

Un filo che lega la varietà degli interventi, raccolti nel libro, articoli, prefazioni, interviste, riflessioni, scritte fra il 2014 e la fine del 2016. Hanno in comune quella «eresia della verità» che «impegna la nostra coscienza, non meno della nostra intelligenza, intrecciando la ricerca del vero e la costruzione come facce di una medesima medaglia».

Che privilegia i fatti, l’ascolto, la condivisione, per far emergere il nocciolo spoglio e duro dei fatti, ricollocare  la persona al primo posto, nel rispetto della suo esistere e della sua dignità. «Verità eretica», quindi, che non accetta le «verità addomesticate» o le post-verità, che agita le nostre vite e le rende degne di essere vissute.

L’inizio parte da quell’uomo di Dio, «venuto dalla fine del mondo», diventato per credenti e non credenti un «segno di contraddizione» e di rivoluzione. «A me sembra piuttosto una conversione, un ritorno al Vangelo, alla sua essenzialità spirituale e alla sua intransigenza etica», scrive il fondatore del Gruppo Abele che confessa: «Ho cercato di essere fedele al Vangelo e leale alle persone. Il che ha significato anche dire in coscienza quello che pensavo, nel rispetto di chi la pensava diversamente».

Esiste una forte sintonia fra Papa Francesco e il prete al quale il cardinale Michele Pellegrino, ordinandolo sacerdote, consegnò come parrocchia la strada. Li unisce la Chiesa sul sagrato: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze», è uno degli «scossoni» di Papa Bergoglio. Li attrae, come luogo privilegiato nel cammino di liberazione dalle ingiustizie ed emarginazioni, quelle periferie che l’Arcivescovo di Buenos Aires aveva eletto centro del suo impegno pastorale e dove il ragazzo Luigi Ciotti, migrato a Torino con la famiglia da Pieve di Cadore, all’inizio degli anni Cinquanta, scoprì che le persone in difficoltà non si aiutano, ma si accompagnano «con delicatezza, affinché         ritrovino la loro dignità e autonomia».

Anche nella lotta contro le mafie che, come presidente di «Libera», don Ciotti da più di vent’anni persegue in quel Sud che lo ha visto, senza riposi, incontrare scolaresche, associazioni, parenti delle vittime, ha trovato in Francesco un alleato determinato, che ha riscattato i tanti momenti di silenzio della Chiesa: «Papa Francesco si è pronunciato sulle mafie e sulla corruzione con la schiettezza e la profondità con cui affronta i grandi problemi del nostro tempo. Personalmente gli sono grato, per come ha accolto, lo scorso marzo a Roma centinaia di familiari delle vittime che legano il loro impegno a Libera. Questo suo parlare chiaro è segno di speranza non solo per la Chiesa, ma per tutti, credenti e laici».

È stato quando prese per mano don Ciotti e con lui si avviò verso la parrocchia di San Gregorio VII per partecipare alla veglia di preghiera in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Grande fu allora il conforto ricevuto da Papa Bergoglio, e tale continua a essere in una sfida contro quella piovra che, nei giorni scorsi, a Locri, durante la «XXII Giornata della memoria e dell’impegno» ha fatto esplodere tanti bubboni.

A conferma che la mafia è un problema di tutti. Un fenomeno che è penetrato capillarmente nella cultura, nella mentalità, nei comportamenti, nelle scelte, che dai vertici si propagano alla base e viceversa. «Una società libera dalle mafie è una società della responsabilità e della ricerca della verità. Una società libera dalle menzogne», scrive don Ciotti nella prefazione al libro di Carlo Marino e Pietro Scaglione «L’altra resistenza. Storie di eroi antimafia e lotte sociali in Sicilia» (ed. Paoline).

E aggiunge sul pericolo di identificare la mafia soltanto con la criminalità: «Ogni discorso sulle mafie che si concentra sull’aspetto criminale, senza cogliere il nesso fra mafie e deficit di lavoro, di cultura, di diritti, rischia di essere non solo monco, ma fuorviante, incapace di far luce sulla natura profonda del fenomeno mafioso e sulle necessarie misure per estirparlo».

Mafia e corruzione. Un binomio che si completa reciprocamente. Nel 1984 il cardinale Martini indicò tre grandi mali che affliggevano la società: la violenza, la solitudine, la corruzione. E definì questa ultima «peste bianca». Purtroppo da allora questa malattia non è stata sconfitta, ha continuato a contaminare situazioni e persone, alimentata da quel virus che è il denaro, diventato obiettivo e ragione di essere. Un pseudo valore assoluto. Che cosa fare allora per estirpare questo cancro?

«Non bastano le leggi, pur necessarie a liberarci da questa ‘peste’ tenace e subdola, che nasce da un deficit di responsabilità e di senso civico. La lotta contro la corruzione e contro la mafia, non è fatta di proclami, ma di un’etica incarnata nelle piccole cose, nell’essere cittadini nel senso profondo del termine, attenti al bene comune e alle responsabilità che una democrazia richiede. Immuni dalla corruzione e pronte a denunciarla saranno infatti le persone vigili e critiche, capaci di riconoscere il male anche quando si cela dietro forme invitanti e all’apparenza innocue. Tutto questo richiede un grande impegno educativo».

Ci sono tanti compagni di strada in questo «breviario» dei nostri giorni, dei nostri sogni e speranze. Franco Basaglia al quale il Gruppo Abele deve la scelta del proprio nome, ispirato da un documentario dedicato a colui che ha spalancato le porte dei manicomi: «La lezione di Basaglia ci fu preziosa anche nella lotta alla droga… Ci ha insegnato a vedere nel malato la persona, e, nel rapporto con l’altro e il ‘diverso’, non un motivo di paura, ma una fonte inesauribile di arricchimento».       

Ci sono, fra tanti altri, don Tonino Bello con le sue parole ai giovani: «Dovete diventare la coscienza critica del mondo. Diventare sovversivi. Non fidatevi dei cristiani ‘autentici’ che non incidono la crosta della civiltà. Fidatevi dei cristiani ‘autentici sovversivi’, come San Francesco d’Assisi». C’è don Lorenzo Milani. Del priore di Barbiana, nella prefazione al libro di Francesco Gesualdi, uno dei suoi ragazzi, don Ciotti ricorda una riflessione che l’ha accompagnato nel suo cammino di prete: «Della verità non si deve avere paura; un sacerdote non ha nulla da perdere; ovunque vada, troverà qualcuno da amare, non a parole, che sarebbe un mostruoso misfatto e una falsità, ma con i fatti».

Chi conosce Luigi Ciotti sa che questa è la sua condotta quotidiana di uomo e di prete.

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