Una società senza festa?

Mercoledì 15 marzo la Facoltà di Teologia dell’Università pontificia salesiana e la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Torino organizzano un convegno sul tema “Società senza festa? Forza e debolezza di un tempo sospeso” presso l’Istituto Internazionale don Bosco in via Caboto 27 a Torino. Parla il professore Natale Spineto

Parole chiave: festa (30), sacro (7), vangelo (36), società (56), futuro (36), teologia (15), studi (5)
Una società senza festa?

Il prof. Natale Spineto, docente di Storia delle Religioni all’Università di Torino sarà uno dei relatori al convegno interfacoltà teologiche “Società senza festa? Forza e debolezza di un tempo sospeso", mercoledì 15 marzo nella sede della facoltà teologica salesiana di via Caboto.

Come è cambiato il concetto di festa nella società contemporanea

Gli studiosi si sono interrogati molto sulla questione. La festa attuale, rispetto a quella del passato, sembra avere innanzitutto una dimensione meno collettiva: non coinvolge tutti i membri della società, ma tende a parcellizzarsi e a riguardare gruppi particolari di persone. Su questo ha influito anche la necessità di sincronizzare la festa con i ritmi del lavoro, che sono diversi e non prevedono momenti di sospensione validi per tutti: basti pensare ai giorni di apertura dei negozi. Un altro aspetto è la minore importanza delle componenti  cerimoniali rispetto a quelle ludiche: la celebrazione della Pasqua come ricorrenza religiosa occupa, anche nell’esperienza della maggior parte dei credenti, uno spazio minimo rispetto al fatto di andare in vacanza; la festa nazionale italiana, il 2 giugno, è soltanto un giorno in cui non si lavora, pochissimi la celebrano in quanto tale e in pochi sanno a quale evento storico si riferisce… Collegato a quest’ultimo tema è il fatto che alla festa, con tutte le sue dinamiche particolari, tende a sostituirsi la semplice vacanza. Si sottolinea spesso, inoltre, la spettacolarizzazione: si va a una festa non per prendervi parte da protagonisti, ma piuttosto per assistere a uno spettacolo, che ci coinvolge ma dall’esterno. E poi va sottolineato il carattere consumistico, che costituisce una peculiarità della festa attuale: la società dei consumi riplasma le feste antiche o crea nuove feste sulla base  di esigenze economiche come la promozione di un territorio o del commercio. Tutti questi tratti non sono però delle assolute novità: sono caratteristiche presenti anche nelle feste del passato, che la società d’oggi ha sviluppato e incrementato. Non dobbiamo infatti cadere nell’illusione ottica che fa pensare – anche a molti studiosi – che ci sia una cesura assoluta fra passato e presente e che le feste di una volta fossero genuine, spontanee e incontaminate, al contrario di quelle di oggi, artificiali e inquinate da componenti utilitaristiche.  

La festa e il sacro un rapporto in evoluzione, la prospettiva storico-religiosa

La risposta dipende molto da quello che intendiamo per religione e per sacro. Comunque, senza entrare in sottigliezze e tecnicismi, diciamo che nel mondo antico quella della religione non costituiva una sfera distinta rispetto alle sfere politica, economica, eccetera, per cui la festa era sempre in qualche misura religiosa. La progressiva definizione di spazi speciali per il religioso e per il politico, per il pubblico e per il privato, che ha una storia complessa nella nostra civiltà, ha cambiato le cose e ha portato a una pluralità di momenti festivi più o meno religiosamente connotati. In ogni caso la festa comporta un’interruzione della realtà quotidiana e un accesso a un livello di realtà diverso, altro rispetto a quello comune, nel quale si trova qualcosa di più, un accrescimento di senso, di esperienze, di vitalità, rispetto all’ordinario. Questo riferimento a una dimensione altra e più densa di quella normale fa sì che la festa abbia comunque un carattere che rimanda al religioso: una delle definizioni della religione vuole che essa consista in una “rottura di livello” rispetto al mondo ordinario. Nella misura in cui, poi, tale dimensione è vissuta come fondante e fa riferimento a contenuti della tradizione religiosa, la festa diventa esplicitamente religiosa.   

Esiste ancora una dimensione della festa come evento differente dalla ferialità ordinaria nella società di oggi?

La parola “ferialità” è un po’ ambigua, perché deriva da feria, che significa appunto festa: e infatti i giorni che chiamiamo feriali in realtà sono festivi, perché celebrano le feste dei santi, mentre la domenica è destinata al Signore. Questo dato ci suggerisce già come la festa sia onnipresente nella  nostra società. Quella di interrompere il quotidiano per accedere a una realtà vissuta come più pregnante è, credo, un’esigenza umana di base che non può che continuare a manifestarsi. Variano le sue forme, si può discutere sui modi dell’interruzione, sulla sua efficacia spirituale, sulla sua natura più o meno illusoria, sui suoi riferimenti simbolici, ma direi che essa sembra inevitabile, oggi come un  tempo.

Il rapporto delle fedi con il tema della festa e del tempo libero dal lavoro

Una delle diagnosi degli studiosi della festa degli anni ’70, periodo di fioritura delle ricerche sul tema, consisteva nel sottolineare il passaggio dal senso della festa alle ferie, alle vacanze, al tempo libero. La sospensione del lavoro è in realtà una componente fondamentale delle dinamiche festive in quanto, se la festa è una interruzione del quotidiano, il fatto di non svolgere l’attività lavorativa consueta costituisce un elemento importante, sia nella pratica, consentendo di dedicarsi ad altro, sia dal punto di vista simbolico. Nel momento in cui, nel clima secolarizzante degli anni ’70, si sono eliminate le vacanze il giorno del 2 giugno e nei giorni dell’Ascensione e del Corpus Domini (la cui celebrazione è stata spostata alla domenica successiva), tutte queste feste sono cadute, per il sentire comune, nell’oblio… Quindi il rapporto fra festa e giorno di vacanza è importante. Ma l’astensione dalle attività lavorative, che era una delle componenti che aiutavano a vivere la festa nel suo carattere di interruzione del quotidiano, è spesso passata, con la diminuzione della pratica religiosa, a essere l’elemento centrale. L’Italia è l’unico Paese nel quale si sta a casa da scuola e dal lavoro durante la festa del Santo patrono, e quindi in giorni diversi a seconda della città in cui si vive; se prima questo consentiva di celebrare il Santo con più agio, oggi è diventato, il più delle volte e nell’Italia del Nord (nel Sud le cose vanno diversamente), un’occasione per andare in vacanza. A meno che la festa non abbia rinnovato il suo potere di attrazione, magari grazie all’interessamento dell’azienda di promozione turistica locale… Nonostante tutto, anche in questi casi, secondo me, il tempo festivo conserva qualcosa del suo senso più profondo.

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