La quinta porta è in carcere

Dopo la Cattedrale, il Cottolengo, il santuario della Consolata e il minorile «Ferrante Aporti» l'Arcivescovo in visita nella cappella del «Lorusso e Cutugno» alla vigilia del Giubileo dei carcerati con papa Francesco

La quinta porta è in carcere

«Aprire una Porta Santa in carcere significa abbattere i muri che innalziamo tra di noi, tra compagni con cui dividiamo il periodo della detenzione, i muri della superbia, dell’indifferenza. Aprire una porta è come costruire un ponte, una porta unisce, collega. Gesù stesso ci dice che lui è la porta per entrare nel Regno di Dio». Dopo l’apertura di una Porta santa nel carcere minorile «Ferrante Aporti», anche nella  Casa circondariale «Lorusso e Cutugno»  i 1300 detenuti reclusi possono vivere il Giubileo della Misericordia  «a pieno».  Con queste parole mons. Cesare Nosiglia, giovedì 27 ottobre ha aperto nella cappella dell’Istituto di pena la quinta Porta santa della diocesi (le altre, oltre al penitenziario minorile,  si trovano nella Cattedrale di San Giovanni, nelle Piccola Casa della Divina Provvidenza il Cottolengo e presso il santuario della Consolata) per permettere a tutti i detenuti torinesi di partecipare «simbolicamente» al Giubileo dei carcerati che papa Francesco celebra domenica 6 novembre. E in piazza San Pietro ci saranno anche 8 detenuti dei penitenziari piemontesi a rappresentare i loro compagni e compagne di cella (oltre 3800 presenti nei 13 istituti detentivi della Regione): lo ha annunciato ieri Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti, durante una conferenza stampa nella sede della Regione Piemonte, giovedì 3 novembre. I reclusi in permesso premio, 4 del carcere d’Ivrea, 3 di quello di Torino e uno da Cuneo insieme ai loro famigliari «parteciperanno alle celebrazioni del Giubileo  – ha specificato il garante – accolti dall’Ispettoria generale dei cappellani che, grazie alle associazioni di volontariato cattolico, si sono mobilitati per l’ospitalità dei detenuti coprendo le spese degli spostamenti e del pernottamento  totalmente a carico dei partecipanti.

Oltre alla Porta Santa, proprio per richiamare la diocesi  «in questo anno in cui tutti veniamo sollecitati a visitare Cristo carcerato a considerare le galere come parte integrante della comunità», mons. Nosiglia dal primo settembre 2016 ha potenziato la presenza del clero nell’Istituto di pena torinese. Accanto al cappellano don Alfredo Stucchi, da 20 anni al «Lorusso e Cutugno», e al diacono Vincenzo Prota, ha nominato un secondo cappellano, don Guido Bolgiani Cambiano, della Fraternità dei monaci apostoli della diocesi di Torino. Don Guido, con i confratelli don Jean Marcel Tefnin e fr. Silvio Grosso  proseguirà nella pastorale carceraria il servizio che la Fraternità, esperienza di vita religiosa cittadina nata a Torino alla metà degli anni Novanta, offre alle parrocchie della diocesi.    

Alla liturgia in carcere hanno partecipato una folta rappresentanza di detenuti e detenute, i volontari, suor Maria Ida Cislaghi delle figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, religiose da anni presenti nella sezione femminile e in quella speciale dove sono ristrette le mamme con i loro bambini, la vicedirettrice dell’Istituto Francesca Daquino, alcuni agenti penitenziari guidati dal comandante Giovanni Battista Alberotanza. La processione alla Porta Santa, impreziosita da una ghirlanda di fiori allestita all’ingresso della cappella da un agente e da un detenuto, è stata guidata dai cappellani: momenti di forte commozione tra i banchi quando l’Arcivescovo ha ricordato ai reclusi che il Papa ha voluto dedicare il Giubileo della misericordia in modo particolare ai carcerati: «Le porte delle vostre celle, come ha detto Francesco, sono come la Porta della Basilica di San Pietro se ogni volta che ci passate rivolgerete il pensiero e la preghiera al Padre. Il Papa indicendo  l’Anno Santo ci ha invitato ad abbattere i muri del peccato: voi qui non potete abbattere i muri del carcere ma i muri che innalziamo con i nostri fratelli, muri che ci opprimono questo sì, lo possiamo fare: nel giudizio finale conterà  quanto abbiamo amato, quanto abbiamo fatto concretamente per chi accanto a noi è in difficoltà». E ancora: «Quando vi sentite soli, scoraggiati, quando la speranza viene meno ricordatevi che il Signore non ci abbandona mai, è sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte: Gesù addirittura si identifica con chi è malato, con chi è straniero, con chi è in carcere: Gesù è un vostro compagno di cella, sentitelo vicino a voi, rivolgetevi a lui».  Al termine della celebrazione mons. Nosiglia si è fermato a lungo parlare con i detenuti: in molti gli hanno chiesto di tornare a Natale a celebrare la Messa, una donna lo ha ringraziato perché in un periodo di difficoltà bussando alla porta di una parrocchia ha trovato aiuto. Alessio, un giovane detenuto, gli ha chiesto un rosario. Il vescovo, colto di sorpresa, ha tirato fuori dalle tasche la sua corona. «Prega con questa, è un ricordo della Terra Santa, ti auguro di andarci un giorno». 

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