Il salvataggio della Sindone dall'incendio dell'aprile 1997

La ricostruzione dal 1993 al 1997 della ricollocazione del Sacro Lino in Duomo all'incendio della Cappella del Guarini

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Il salvataggio della Sindone dall'incendio dell'aprile 1997

Il 24 febbraio 1993 la Sindone venne spostata dalla Cappella del Guarini al coro della Cattedrale ed è collocata in una cassa di cristallo formata da 14 lastre di 30 quintali. Il 5 settembre 1995 il cardinale arcivescovo di Torino Giovanni Saldarini annuncia due ostensione della Sindone, volute da Giovanni Paolo II, nel 1998 e nel 2000. Per quattro anni il centro di Torino si trasformò in un grande cantiere: Cappella, Cattedrale, Piazzetta Reale, Palazzo Reale, Torri Palatine, Palazzo Chiablese. Gli scavi nella zona del Teatro Romano scoprirono i resti di tre antiche chiese.

Il cantiere sta per chiudere. Alle 22,50 di venerdì 11 aprile 1997 il fuoco intacca la Cappella, il Palazzo Reale, il Duomo. Solo alle 23,45 scatta l’allarme alla centrale dei pompieri: 150 uomini accorrono dal Piemonte, da Caselle, da Milano con cannoncini che sparano ettolitri di acqua. Eroe tra gli eroi è Mario Trematore, 44 anni, capo della squadra 21 che all’1,20 fiamme raggiunge il coro del Duomo. Con una mazza da 4 chili demolisce la teca. Racconta: «Colpisco con tutta la forza. Prendo in braccio lo scrigno. Correndo verso l’uscita trovo mons. Giacomo Maria Martinacci, cancelliere della Curia. “La prenda lei” gli dico. “No, portalo fuori tu”».

Il cardinale  Saldarini è impietrito: «Com’è successo? Com’è successo? Mio Dio, mio Dio. Com’è possibile? Dov’è scoppiato l’incendio? Salvate la Sindone». Prega in silenzio, guarda, non dice una parola, allontana microfoni e telecamere. Una città stordita, sgomenta, incredula, quasi pietrificata. Il cardinale rincuora tutti: «È una tragedia, ma ringraziamo il Signore che non ci sono state vittime né feriti. Ricostruiremo la Cappella, l’ostensione del 1998 si farà. Ringraziando il Signore, la teca della Sindone non è stata coinvolta. La Cattedrale è stata risparmiata. I danni più rilevanti sono nella Cappella. Voglio ringraziare vigili del fuoco, autorità civili, militari e di polizia. Il Papa mi ha detto di rendermi interprete del suo ringraziamento».

La Cappella palatina è ridotta a un cumulo di macerie. Ha lesioni gravissime, diffuse, devastanti. Contro il capolavoro seicentesco si sono coalizzate forze mostruose. La micidiale miscela di fuoco e acqua  provoca lo «choc termico» e la calcificazione delle strutture. L’apertura delle porte del Duomo, l’esplosione della vetrata tra Cattedrale e Cappella, la riduzione in frantumi delle vetrate della cupola e il vento forte di  quella notte hanno causato «l’effetto camino». Il restauro si presenta complesso e difficile, lungo – forse sarà finito nel 2018 - e pericoloso perché la struttura è instabile. Se la Sindone si fosse trovata nella Cappella il calore avrebbe fuso la cassa – come successe parzialmente nell’incendio di Chambéry nel 1532 – e la tela sarebbe andata in fumo. Dieci giorni dopo il rogo il card. Saldarini ribadisce che «la Sindone è il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Cristo».

Chi segue le vicende con grande apprensione è mons. Franco Peradotto, direttore de «La Voce del Popolo», provicario generale e rettore della Consolata. Nell’articolo «Una vita davanti al Volto» («La Voce del Popolo», 20 agosto 2000) racconta i suoi rapporti con la Tela, dall’ostensione 1933 fatta dal card. Maurilio Fossati su espresso desiderio di Pio XI per solennizzare il Giubileo della Redenzione: «Davanti alla Sindone non è mai un “bis”: l'esperienza è sempre nuova e irripetibile. Ecco la testimonian­za di chi scrive, periodica­mente pellegrino, talora an­che un po' privilegiato, da­vanti alla Sindone. Era l'inizio dell'autunno 1933. Avevo 5 anni e conservo un ricordo molto in­fantile, quasi un sogno o una favola, di una visita con i miei familiari, tra essi non­no Cesare, il “saggio della famiglia”. Eravamo scesi da Cuorgnè (il suo paese, n.d.r.) conla Canave­sana, ci inoltrammo nel Duomo e sostammo nel buio quasi totale davanti al grande Lenzuolo macchiato di sangue (così mi dicevano)» al grande Lenzuolo macchiato di sangue».

Trascorrono ore in preghiera, in notti e giorni diversi, alcuni sconosciuti ecclesiastici che diventeranno famosi: il 52enne delegato apostolico in Bulgaria mons. Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni XXIII. Il trentenne sacerdote fossanese Michele Pellegrino e il ventenne carmelitano genovese Anastasio Alberto Ballestrero: diventeranno cardinali arcivescovi di Torino. Il sacerdote olandese Jan Bernard Alfrink: sarà esponente di punta del Concilio, cardinale arcivescovo di Utrecht e primate d’Olanda. Il sacerdote Giuseppe Siri: sarà cardinale arcivescovo di Genova. E poi un ragazzino che «vestiva alla marinara»: Gianni Agnelli.

Don Peradotto entra nel Seminario minore di Giaveno nell’autuunno 1939: ««Nelle prime settimane ci venne rac­contato chela Sindonenon è più a Torino. Null’altro. Sa­premo nel 1946 dell'avvenu­to trasferimento a Montevergine (Avellino) e il 1° novembre il cardinale Fossati annuncia chela Sindoneè tornata. Dopo la guerra  seguono anni di discreto silenzio sulla Sindone illuminato dalla Messa nella Cappella fra il dove­roso ricordo e il parziale oblio. Mons. Jose Cottino, mons. Pietro Caramello e don Pietro Coero Borga mi fecero fare un salto di qualità con libri, riviste, informazioni di prima mano. Quando Pellegri­no affida a una Commissione la ricognizione sul Lenzuolo il segreto è totale e il mio desi­derio di carpire notizie va sempre deluso. Per la prima ostensione televisiva (il 23 novembre 1973 con la Sindone in verticale, n.d.r.) Pellegrino concesse alla Giunta del Consiglio Pastorale diocesano e ad altre persone un momento di preghiera e contemplazione».

Sull’incendio del 1997 aggiunge: «Bisogna essere torinesi per capire la paura di perdere la Sindone. Ricordo molti anni addietro quando fu messa in giro la voce a Roma per un’ostensione di breve periodo. Migliaia di firme pervennero dai torinesi in Curia per scoraggiare l’operazione con il timore che la Sindone non fosse restituita. Ricordo ancora il gelo della città all’udire nel 1988 le parole dell’arcivescovo Ballestrero che annunciava un esito infausto per la datazione con il C14».

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