Clochard dato alle fiamme a Torino. L'appello di mons. Nosiglia: "attenzione il disagio cresce per tutti"

Dopo l’aggressione di un senza fissa dimora, dato alle fiamme nella sera del 28 ottobre in un giardino pubblico nel quartiere torinese Aurora, ed ora ricoverato all'ospedale San Giovanni Bosco, l'appello dell'Arcivescovo alla società civile: "ricordiamoci di essere comunità"

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Clochard dato alle fiamme a Torino. L'appello di mons. Nosiglia: "attenzione il disagio cresce per tutti"

«Dobbiamo prima di tutto aiutarci a vicenda a non dimenticare queste persone. La cronaca è un tritatutto, domani ci sarà un altro titolo al posto di quello su Gheorge. Ma, se i giornali fanno il loro mestiere, i credenti e i cittadini non possono lasciar correre, non devono dimenticare». Mons. Cesare  Nosiglia, arcivescovo di Torino,  è in contatto col cappellano dell’ospedale «San Giovanni Bosco» di Torino, dove è ricoverato in rianimazione il clochard di origini rumene bruciato sulla panchina dove dormiva abitualmente, in un giardinetto del quartiere Aurora a Barriera di Milano. Quando Gheorge potrà parlare l’Arcivescovo andrà a trovarlo, «per portargli la mia benedizione e la solidarietà di tutta la comunità. Intanto preghiamo perché possa superare presto questa situazione e rimettersi in salute».

Nosiglia è molto preoccupato: «C’è una violenza che cresce, ad ogni livello e in tutte le situazioni – riflette – Ci sono aggressioni perpetuate senza alcun motivo per sfregio e a volte per divertimento. C’è la violenza del branco, che trascina soprattutto i giovani. È tremenda questa idea che per sentirsi forti, uniti, potenti si debba aggredire proprio chi è più debole e indifeso».

Nel caso di Gheorge si parla di un altro clochard… «Ma se fosse anche   così – risponde – questo ci conferma solo in quanto già vediamo: c’è un’intolleranza diffusa, che va a sfogarsi su chi è già debole. In questi giorni un cameriere straniero è stato aggredito e picchiato a Roma. È la logica che papa Francesco denuncia sempre, l’idea che nelle nostre società possiamo permetterci di ‘scartare’ qualcuno, di buttare ai margini chi non ce la fa. Attenzione, poi: non ci sono soltanto i gesti violenti e criminali; dobbiamo dirci con chiarezza che l’intolleranza comincia dal linguaggio, dai comportamenti razzisti. Ci stiamo allontanando pericolosamente dal principio, laico e cristiano insieme, del ‘non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te’. E questo avviene in nome di un malinteso senso di appartenenza, nell’illusione di una superiorità che si basa sulla forza e sull’ignoranza».

«Ma è proprio in questi comportamenti che si rivelano le nostre debolezze, le nostre paure; è il modo in cui si sfogano le fatiche e le difficoltà. Il disagio sociale cresce, non possiamo più far finta di niente; e anche i mass media dovrebbero interrogarsi seriamente su come presentano queste notizie».

Che fare, allora? «Ricordarci che siamo comunità. Ogni persona, qualunque sia la sua condizione sociale, il colore della pelle, la fede religiosa è prima di tutto una persona – un uomo, una donna, un bambino, un vecchio. Abbiamo bisogno di recuperare una mentalità fraterna; e questo si costruisce poco alla volta, attraverso scelte di vita e comportamenti utili al prossimo. Per quanto riguarda i senza dimora, ho accompagnato io stesso, a Torino, lungo tante notti, l’impegno di volontari che avvicinano i senza dimora nelle strade e nei parchi o in luoghi come i portici o le stazioni e gli stessi pronto soccorso degli ospedali, gli androni delle chiese e dei palazzi. Portano aiuto concreto, roba da mangiare, vestiti e coperte; e anche compagnia, vicinanza. La storia di queste persone è la nostra stessa storia: molti di loro avevano un lavoro, una casa, e la strada non è stata una scelta ma una necessità perché avevano perso le sicurezze ‘normali’ cui siamo abituati».

 «La diocesi di Torino – dice ancora mons. Nosiglia - sta attivando in questi mesi un progetto cittadino per l’emergenza freddo: si preparano strutture attrezzate – compreso l’Arcivescovado - per centinaia di persone, uomini e anche per donne. Ha dato vita a un locale, la «Sosta», aperto sulla strada dove centinaia di persone senza dimora si incontra ogni giorno; e a laboratori artigiani, lavori in cascine gestite da un gruppo di loro che coltivano i campi e la frutta, mantenendosi».

C’è però anche un problema di cultura, e di iniziativa delle istituzioni. «Se facciamo una alleanza educativa tra parrocchie, Comuni, scuole, gruppi sportivi, associazioni e volontariato e anche mass media per promuovere una mentalità diversa sarà possibile far fronte a questa piaga sociale che si sta allargando sempre più. È la carenza etica sul piano personale e sociale ad aver prodotto passo dopo passo un generale abbandono di quel minimo di regole e di onestà del comportamento che esigeva il rispetto dell’altro e la volontà di operare insieme per il bene comune. Episodi come questo di Torino sono dei campanelli di allarme, una spia rossa che ci avverte che ormai di sta raggiungendo punti di non ritorno».

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