Cinquant'anni fa a Firenze la Messa di Natale di Papa Paolo VI fra gli alluvionati

Nel Natale 1966 Papa Paolo VI scosse i fiorentini celebrando la Messa di Natale e dando loro un nuovo stimolo per reagire alla tragedia

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Cinquant'anni fa a Firenze la Messa di Natale di Papa Paolo VI fra gli alluvionati

«Papa Paolo VI partecipò in maniera molto commossa al dramma dell'alluvione di Firenze. Soffrì insieme alla città. E nel Natale 1966 scosse i fiorentini dando loro un nuovo stimolo per reagire alla tragedia». Mons. Paolo Ristori cinquant’anni fa era segretario del cardinale arcivescovo di Firenze Ermenegildo Florit che accolse Paolo VI a Firenze un mese e mezzo dopo l’alluvione: «All'inizio di dicembre ricevetti la telefonata della Segreteria di Stato vaticana. Mi dissero che Paolo VI voleva celebrare la Messa di mezzanotte a Firenze. Voleva essere vicino ai fiorentini, ma senza grandi cerimonie, sottolinearono: non voleva gravare su una situazione già difficile».

Quel Natale di cinquant’anni fa «faceva molto freddo» ricorda mons. Ristori. Alle 21 del 24 dicembre 1966 il cardinale Florit, il prefetto e il sindaco Piero Bargellini andarono a ad accogliere il Papa che arrivò in auto: «A Gavinana, una delle zone più colpite, la gente per strada fermò il Papa che salutò e benedisse tutti». Poi Santa Croce, dove l'acqua aveva raggiunto i sei metri. A piazza Santa Maria Nuova, di fronte all’ospedale, «Paolo VI venne nuovamente fermato dalla gente e mandò una benedizione a tutti i malati».

Racconta  mons. Ristori: «Arrivato in Arcivescovato, mangiò una minestra e un’insalata. Poi andò in Duomo per la Messa. La piazza e la Cattedrale erano gremite. La città sembrava colpita nell'intimo dal Pontefice, scossa nelle sue radici, risollevata nel cuore». L'omelia di Paolo VI è un inno alla speranza: «Siamo qua venuti nel giorno della tenerezza e della fortezza dell'amore per piangere con voi, fiorentini. Ai cento titoli che potete avanzare, si è aggiunto un altro titolo: il vostro dolore, così grande e singolare, così fiero e degno».

Dopo la Messa, a tarda notte, Paolo VI si reca al giardino di Boboli, dove si trovavano le tante opere d'arte distrutte e gravemente danneggiate: «Di fronte al Cristo del Cimabue che per ore era rimasto a galleggiare nell'acqua e nella nafta, il Papa si fermò a pregare. Il suo viaggio significò per la città una nuova rinascita: l'attenzione che riportò permise di raccogliere un miliardo e mezzo delle lire provenienti da tutto il mondo e distribuite dai parroci alle famiglie più colpite».

Dopo oltre una settimana di pioggia, all'alba di quel 4 novembre 1966, i fiorentini scopriro­no che la loro città non era più la stessa. L'Arno se l'era mangiata. Di quei giorni tragici resta una foto che ritrae un giovane sacerdote in piedi in una chiesa distrutta. Quel prete e i ragazzi della parrocchia – scrisse il Comune di Firenze - «hanno agito da veri eroi. Rischiando la vita riu­scirono a evitare che 70 fusti di carburo esplodessero come bombe nel quartiere di San Salvi».

Quel sacerdote è Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia che Papa Francesco ha creato cardinale. Invece Giuseppe Betori, umbro di Foligno, è cardinale arcivescovo di Firenze. Intervistato dalla rivista «Credere», il cardinale Bassetti dice: «Erano tanti quelli che la meritavano una medaglia. Ripensandoci, mi si accappona la pelle perché sono cose che si fanno nell'in­coscienza della giovinezza. Avevo 24 anni, ero con 5-6 ragazzi, e sentimmo l'odore forte del gas acetilene che si produce quando l'acqua incontra il carburo. C’erano dei fusti che ne erano pieni: potevano esplodere. Con una mazza di ferro aprimmo la serranda del magazzi­no – ripensandoci, bastava una scintilla per saltare in aria -, li prendem­mo facendo una catena umana».

Don Bassetti e i suoi giovani salvano anche un’anziana: «Riuscimmo a prenderla, ma lei si divincolava e non voleva lasciare la casa. Uno dei ragazzi disse: "Nonna Rosa, non mi fate arrabbiare perché vi do un cazzotto in testa", e a quel punto lei accettò. E salvammo anche quella vecchietta. Quando sei preso dall'istinto di salvare qualcuno, di fare un'opera buona, non pensi al pericolo».

Bassetti non è l’unico sacerdote che si impegnò nella Firenze alluvionata. Lo scorso 3 novembre «Avvenire» ha pubblicato una pagina con il titolo «Noi, angeli del fango con la talare». «Il pastorale che per la prima volta ho usato a Firenze cinquanta anni fa era un badile»: il cardinale arcivescovo Giuseppe Betori aveva 19 anni quando giunse nel capoluogo toscano sommerso.

Arrivò nel pantano anche Angelo Scola. Non era ancora entrato in Seminario l’attuale cardinale arcivescovo di Milano: era un professore di 25 anni, presidente della Fuci ambrosiana: «Come universitari cattolici decidemmo di partire per dare una mano». Era prete dell’arcidiocesi di Milano da un anno il 25enne Diego Coletti, vescovo emerito di Como e studiava a Roma: «Quando si diffuse la notizia dell’alluvione, con alcuni compagni, fra cui l’attuale cardinale Giuseppe Betori, ci fu uno slancio immediato del cuore che ci spinse a chiedere di poter andare come volontari».

Dalla capitale giunge il vercellese Gianni Ambrosio, oggi vescovo di Piacenza-Bobbio. Avrebbe compiuto 23 anni a fine 1966. «Studiavo teologia alla Gregoriana e seguivo il gruppo scout di una parrocchia romana. Con alcuni scout siamo partiti su un camion, di notte. Ricordo il freddo e le difficoltà del viaggio per le strade interrotte o bloccate».

Era un seminarista di 21 anni Luigi Marrucci, oggi vescovo di Civitavecchia-Tarquinia. Era a casa: «Quando rientrai a Siena in Seminario chiesi al rettore di poter dare il nostro contributo. Il rettore ci autorizzò ad andare ogni sabato e domenica». È stato un «angelo del fango» a distanza Italo Castellani, arcivescovo di Lucca. I volumi sfregiati della Biblioteca Nazionale sono passati anche dalle sue mani di  seminarista a Cortona: «Arrivavano in Seminario camion carichi di libri. Nei corridoi erano stati sistemati lunghi tavoli. E il compito nostro e di tanti ragazzi delle parrocchie era quello di inserire fra una pagina e l’altra, ciascuna fragilissima, la carta assorbente». Aveva 23 anni.

L’Arno ruppe i suoi argini alle 2.30 del 4 novembre e milioni di metri cubi di acqua si riversarono sulla città fino alle 22 di sera. «Firenze è un immenso lago immerso nelle tenebre» scriveva l’agenzia Ansa la sera di quel giorno.

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