Burzio, il paladino degli ebrei

Il diplomatico della Santa Sede nato a Cambiano e la sua ferma condanna dell'antisemitismo 

Parole chiave: antisemitismo (1), memoria (14), ebrei (11), cattolici (72), chiesa (665)
Burzio, il paladino degli ebrei

«Quale fosse il piano dei nazisti riguardo agli ebrei depor­tati era per tutti un vero enigma. La Santa Sede sapeva però che la fine di molti deportati sarebbe stata la morte. Nel marzo 1942 l'incaricato d’affari della Santa Sede in Slovacchia, mons. Giuseppe Burzio, affermava che la deportazione di 80.000 ebrei equivaleva per gran parte di loro a una morte sicura”. Nel luglio 1942 il visitatore apostolico della Croazia, G. Marcone, apprese dal capo della polizia ustascia che i tedeschi avevano già fatto morire due milioni di ebrei e che la stessa sorte sarebbe toccata a quelli croati. Nel maggio 1943 il cardinale segretario di Stato Luigi Maglione, in una nota diretta a Pio XII, scrisse: “Ebrei, situazione orrenda. In Polonia stavano prima della guer­ra 4.500.000. Si calcola ora che non ne rimangano neppure 100.000. A Varsavia era stato creato un ghetto che ne conteneva circa 650.000, ora ce ne saranno 20-25.000”. Il cardinale evocava “i campi speciali di morte” e aggiungeva: “Si racconta che vengano divisi a parecchie centinaia alla volta in cameroni, dove finirebbero sotto l'azione del gas”. Scriveva l’ambasciatore della Polonia rifugiato in Vaticano: “I deportati sono messi a morte secondo vari procedimenti in luoghi appartati predisposti a tale scopo”. L'unica cosa certa era il silenzio dei deportati, che equivaleva a morte sicura».

Questo scrive padre Giovanni Sale, valente storico de «La Civiltà Cattolica» nel circostanziato volume «Hitler , La Santa Sede e gli ebrei. Con i documenti  dell’Archivio Segreto vaticano», Jaca Book. È giusto e doveroso fare memoria di chi nel mondo cattolico si è battuto, a rischio della propria vita, in difesa del popolo ebraico. E tra questi «paladini degli ebrei» spicca un torinese diplomatico della Santa Sede, ingiustamente ignorato dagli ebrei stessi: Giuseppe Vincenzo Burzio, uno dei pochi torinesi diplomatici vaticani.

Nato a Cambiano, provincia e diocesi di Torino, il 21 gennaio 1901 da Bartolomeo e da Maria Randone, dal 1911 è alunno del Seminario di Bra, poi del Seminario filosofico di Chieri, quindi del Seminario Metropolitano di Torino dove si laurea in Teologia il 3 luglio 1923 nella Pontificia Facoltà Teologica del Seminario. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1924 da mons. Filippo Perlo, missiona­rio della Consolata e vicario apostolico in Kenya, sotto l'episcopato dell'arcivescovo Giuseppe Gamba (1923-29). Dal 24 ottobre 1924 è alunno del Collegio Apollinare di Roma dove consegue la laurea in «Utroque jure». Addetto alla Segreteria di Stato, dall'8 agosto 1929 è segretario del nunzio apostolico in Perù. Nel 1935 mons. Burzio è trasferito alla nunziatura, uditore di nunziatura, è incaricato d'affari in Lituania nel 1938-1940 e poi in Slovacchia nel 1940-1946 sotto l'occupazione nazista e sotto il regime filonazista di mons. Josef Tiso. Dopo la guerra mons. Burzio è eletto arcivescovo titolare di Costina il 2 maggio 1946 e consacrato nella chiesa par­rocchiale di Cambiano il 30 giugno dal cardinale arcivescovo Mau­rilio Fossati. Nunzio apostolico in Bolivia e poi a Cuba dal dicembre 1950. Nel 1954 rinuncia alla nunziatura. Muore a Roma l’11 febbraio 1966 a 65 anni. È sepolto nel cimitero di Cambiano.

Incaricato d’affari a Bratislava durante la seconda guerra mondiale, Burzio protesta energicamente contro l’antisemitismo e il totalitarismo del regime fantoccio slovacco del prete Josef Tiso, alleato con i nazisti.

Quando la deportazione degli ebrei riprende in grande stile nel 1943 mons. Burzio sfida il primo ministro slovacco Voytech Tuka e il Vaticano condanna il 5 maggio 1943, Anch3e l'episcopato slovacco pubblica l’8 maggio 1943 una lettera pastorale di condanna del totalitarismo e dell’antisemitismo.  Al governo fantoccio di Bratislava Burzio ripete il monito di Pio XII: «Il suo governo è dannoso per il prestigio della Slovacchia e scredita il clero e la Chiesa in tutto il mondo». Dopo la promulgazione del «Codex ebraico» di 270 articoli, avvenuta il 9 settembre 1941,  le Chiese cattoliche e protestanti protestano duramente mentre il cardinal Luigi Maglione esprime il risentimento della Santa Sede in una nota del 14 novembre 1941.

Il «Dizionario dell’olocausto», pubblicato da Walter Lacqueur nel 2001, sprizza odio e rancore contro i cattolici, la Chiesa e il Papa. Osserva: «A partire dalla fine del 1941 la situazione divenne ancora più cupa. Disse con amarezza un alto prelato vaticano: “È una grande sventura che il presidente della Slovacchia sia un pre­te. Tutti sanno che la Santa Sede non ha nessun controllo su Hitler. Ma chi riuscirà a capire che noi non siamo neanche in gra­do di controllare un prete ?”».

«Opus iustitiae pax. La pace opera della giustizia» è il motto di Pio XII. Nell’impossibilità di arginare il conflitto, Pacelli cerca di salvare più persone che può. Migliaia di testimoni e montagne di documenti smentiscono la «leggenda nera» di Pio XII, silente sulle atrocità dei dittatori. Il papa ela Chiesasalvano ebrei, perseguitati comunisti, socialisti, popolari, azionisti, zingari, omosessuali, handicappati, uomini e donne della Resistenza. Pacelli è, con il cardinale tedesco Michael von Faulhaber, l’estensore dell’enciclica «Mit Brennender Sorge» (1937) di Pio XI contro il nazismo. Vive un lacerante dramma: parlare e condannare a morte migliaia di persone, o tacere e agire per la loro salvezza? Il 20 febbraio 1941 esclama: «Quando il papa vorrebbe gridare forte, è costretto al silenzio dilatorio, quando vorrebbe agire e soccorrere è costretto alla paziente attesa». 

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