Addio padre Piero Gheddo, il Vangelo nel mondo

Una vita per la missione 

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Addio padre Piero Gheddo, il Vangelo nel mondo

«Visitando le missioni nel Sud del mondo, mi dico: Piero, tu stai vivendo gli Atti degli apostoli. Qui nasce la Chiesa; qui lo Spirito Santo è in azione tutti i giorni, non va mai in pensione, non si stanca mai, non dorme mai. Qui ci sono le prime comunità cristiane». Padre Piero Gheddo – uno dei missionari più famosi d’Italia – è morto a Cesano Boscone (Milano) a 88 anni il 20 dicembre 2017. Protagonista di una avventura giornalistica e missionaria straordinaria, ha denunciato i drammi della fame, delle ingiustizie, delle guerre e ha raccontato i «miracoli» dello Spirito Santo nelle giovani Chiese.
Nasce Tronzano Vercellese il 20 marzo 1929. Mamma Rosetta Franzi e papà Giovanni vogliono tanti figli: Piero, Franco, Mario; poi due aborti spontanei e il 26 ottobre 1934 la morte della mamma a 32 anni di parto e polmonite. Il parroco celebra la Messa con i paramenti bianchi: «Sono stato il confessore di Rosetta. Era un angelo ed in Paradiso. Non celebriamo la Messa da morto, ma cantiamo la Messa degli angeli». Il papà partecipa alla sciagurata spedizione in Russia: potrebbe mettersi in salvo ma rimane nell'ospedaletto da campo con i feriti intrasportabili, al posto del giovane sottotenente, al quale salva la vita. Racconta: «Il testamento del capitano. Mio padre Giovanni disperso in Russia nel 1942». Di papà e mamma è in corso la causa di beatificazione. Scrive «Questi santi genitori».
Rievoca: «Fin da bambino, a sei-sette anni, alla domanda: “Cosa farai da grande?”, rispondevo: “Il prete”. Non ricordo di aver mai pensato ad altro». Frequenta il Seminario minore di Vercelli a Moncrivello; nel 1945 entra nel Pontificio Istituto Missioni estere (Pime) di Milano: minacciano di cacciarlo perché va, senza permesso, a prendere la carta per stampare il giornalino. Il 28 giugno 1953 è ordinato prete dal cardinale arcivescovo di Milano Ildefonso Alfredo Schuster nel Duomo di Milano con altri 119 giovani. È «perito» di nomina pontificia al Concilio Vaticano II (1962-65). Vorrebbe andare missionario in l'india ma i superiori decidono diversamente. È tra i fondatori dell'Editrice missionaria italiana (Emi) nel 1955, di Mani tese nel 1963; dirige «Mondo e missione» (1959-1994) e «Italia missionaria»; fonda e dirige l'agenzia d'informazione «Asia News» (1987). La sua missione è il giornalismo: «Avvenire, Epoca, Famiglia cristiana, Gente, Il Giornale, La Voce, Messaggero di Sant’Antonio, L’Osservatore Romano».
Scrive migliaia di articoli. L’unico che lo censura è «L'Osservatore Romano» per intervento della Segreteria di Stato durante il Concilio: cassa le interviste al cardinale Agostino Bea, presidente del Segretariato per l'unità dei cristiani, e all’arcivescovo Hélder Câmara Pessoa, il «vescovo delle favelas»: «Piccolo e minuto, con un volto espressivo e cordiale, ha una semplicità e immediatez¬za di linguaggio, una carica di comunicativa da non lasciare spazio alle domande dell’intervista». Commenta il Vangelo su Rai1e conduce una rubrica religiosa su Rai2.
Compie 80 viaggi. Il primo in India: nel novembre 1964 conosce Madre Teresa di Calcutta. Poi Brasile, Thailandia, Vietnam, Cambogia, Etiopia, Zaire, Argentina, Cina, Angola, Somalia, Sudafrica, Mozambico, Rhodesia (oggi Zimbabwe), Namibia, Papua Nuova Guinea, Giappone, Eritrea, Corea del Sud, Sri Lanka, Santo Domingo, Haiti, Gibuti, Israele. L’ultimo nel 2007 in Cameroun. «Giramondo della fede» è testimone di alcune terribili vicende del Novecento: «rivoluzione culturale» in Cina, guerra in Vietnam e in Indocina, segregazione razziale in Sudafrica, dittature militari in Sud America, genocidi in Rwanda e Burundi. «Ho visto la fame in India, ma non in questa spa¬ventosa situazione come in Uganda: uomini, donne, bambini e anziani seduti per terra in tutte le costruzioni, nei corridoi, nel¬le stanze, nel cortile sotto un sole impietoso, per ave¬re due volte al giorno una fetta di polenta di mais con un po' di peperoncino e un litro d'acqua. Mi sento colpevole di questa tragedia. Penso a tutto quello che Dio ha dato a me e nulla a questi poveri scheletri in croce con Gesù. Provo vergogna, piango e prego per loro».
Scrive un centinaio di libri, con una trentina di traduzioni, dal primo «Il risveglio dei popoli di colore» (1956) all’ultimo con Gerolamo Fazzini, «Inviato speciale ai confini del mondo» (2016). In mezzo «Popoli ricchi e popoli affamati; Fame nel mondo; Cattolici e buddisti nel Vietnam; Processo alle missioni; Razzismo, cancro del nostro tempo; Dove va la Cina; Vietnam cristiani e comunisti; Lettere dal Vietnam; Lettere dalla Cina; I popoli della fame; Possiamo ancora dirci cristiani?». Dice spesso: «Gli aiuti producono sviluppo dove c'è un popolo preparato a usarli, altrimenti producono corruzione e una classe dirigente che pensa anzitutto a se stessa».
Si tiene lontano dai salotti dell'intellighenzia progressista e da quelli del perbenismo conservatore. Esempio più lampante è sulla guerra in Vietnam. Contro l’intervento americano in Vietnam si schierano i cardinali arcivescovi di Bologna Giacomo Lercaro e di Torino Michele Pellegrino, il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi e altri vescovi. Il 1°-4 novembre 1973 a Torino si svolge la 3ª Assemblea internazionale di cristiani solidali con i popoli di Vietnam, Laos, Cambogia. Partecipa anche padre Gheddo, che racconta: «Il cardinale Pellegrino, che era accusato di essere “rosso”, mise come condizione alla sua partecipazione che invitassero anche me: me l'ha rivelato più tardi. Andai a fare la mia relazione, dicendo ciò che pensavo, condannando l'intervento americano e il regime di Thieu che dominava il Sud Vietnam, senza tacere il carattere oppressivo della dittatura comunista di Hanoi e rivalutando gli aspetti positivi della Chiesa sudvietnamita. In sala ci fu molto dissenso. Padre Davide Maria Turoldo, mi disse: “Tu sbagli, sei fuori strada. Tutti dicono il contrario di ciò che dici tu. E poi non capisci che il socialismo potrà fare degli sbagli, ma è il futuro del mondo”. Io dicevo solo quello che avevo visto e di regimi socialisti ne ho visti tanti». Turoldo aveva torto e Gheddo ragione.

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