Periferie:prima di tutto sconfiggere la noia

Scippi, aggressioni, violenze: il degrado sociale dei sobborghi metropolitani, evidenziato da recenti casi di cronaca, solleva interrogativi pressanti e reclama risposte decise. L’assenza di concrete politiche per i giovani e il peso della crisi economica

Parole chiave: quartiere (2), degrado (1), socialità (1), banlieue (2)
Periferie:prima di tutto sconfiggere la noia

Brutte storie di periferia. Protagonisti in gran parte adolescenti o pre–adolescenti. Clamorosa quella di Torino, alla Falchera, il quartiere nato tanti anni fa per accogliere soprattutto profughi istriani. E’ forse la più squallida (una ragazzina 13enne che ha rapporti con coetanei in una garage abbandonato, viene fotografata, ricattata quando vorrebbe smettere e le foto compromettenti inviate alla mamma). Tutti i protagonisti sono giovanissimi. Nel quartiere molti sapevano, anche adulti. Nessuno ha parlato, tanto meno con la famiglia, ma nemmeno con i servizi sociali (a quanto sembra ignari). Poi a Genova altre due storiacce: la 12enne picchiata selvaggiamente su una panchina in un giardinetto da una ragazza 17enne, mentre un’amica la riprendeva, e la 16enne costretta a girare film hard. A Milano, poi, fioccano storie di tensione dai quartieri dove si ha paura ad uscire. Ma cosa c’è alla base di questi fenomeni? L’abbiamo chiesto a Cristina Pasqualini, sociologa, ricercatrice e docente di Sociologia generale presso l’Università Cattolica di Milano.

Quali le cause di questa situazione?

Il disagio è sicuramente in crescita per colpa della crisi economica, che provoca un impoverimento sociale generale. I giovani ne risentono in particolare per la difficoltà a trovare un lavoro e a raggiungere l’indipendenza economica. I più giovani crescono in situazioni famigliari complicate a causa della crisi e sono disorientati. Anche la società è diversa rispetto ad anni fa: oggi manca un orientamento valoriale forte e la presenza di una famiglia solida. E quando questo si combina con una componente ambientale di emarginazione, come quella delle periferie, è pericoloso. Chi abita nell’hinterland si accorge del degrado urbano e della presenza di gruppi giovanili che sembrano non avere uno scopo nella vita o un posto nel mondo.

Chi sono i soggetti che devono essere maggiormente chiamati in causa per fare da “rete protettiva e inclusiva”?

Bisogna agire su più fronti. Dal punto di vista delle tecnologie, innanzitutto: la famiglia deve aiutare i bambini e gli adolescenti a usarle nel modo giusto. Oggi i ragazzi sono iperconessi, e questo è normale, ma devono sapere come usare con coscienza questi strumenti. È poi importante che si torni a parlare di periferie, che queste zone tornino al centro dell’agire politico a tutti i livelli. Ma anche noi dobbiamo metterle al centro delle nostre preoccupazioni, altrimenti diventeranno sempre più aree emarginate e a rischio. Servono progetti di inclusione sociale e politica decisi in accordo con tutte le istituzioni e le agenzie educative coinvolte. La scuola ha un ruolo fondamentale, oggi, anche se è in crisi, perché i ragazzi trascorrono molte ore al giorno sotto gli occhi degli insegnanti. Ma anche l’oratorio, i gruppi sportivi, le associazioni devono curare percorsi formativi che portino i ragazzi a diventare adulti.

Quali politiche, in concreto, bisognerebbe attuare?

Spesso ho l’impressione che i ragazzi siano abbandonati a loro stessi. Forse è arrivato il momento buono per creare progetti territoriali coordinati da tutti gli stakeholder, cioè gruppi, associazioni e agenzie educative. Ma anche chiedere agli stessi giovani di partecipare ai tavoli progettuali, facendo dire a loro ciò di cui hanno bisogno, dall’apertura di sale giochi al volontariato, dalla nascita di spazi virtuosi di aggregazione alla socializzazione. È la noia, infatti, che porta a compiere atteggiamenti devianti.

leggi l'articolo completo su «il nostro tempo» di domenica 8 marzo

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