Misericordia in cella

Gli istituti di pena, nelle intenzioni di papa Francesco sono luogo privilegiato per vivere il Giubileo. La celebrazione e la visita dell'Arcivescovo Nosiglia

Parole chiave: ferrante (6), carcere (21), misericordia (105)
Misericordia in cella

Messa di Natale nella parrocchia «Ferrante Aporti». Sì, perché se non fosse per i cancelli che si chiudono dietro le spalle e per il metal detector all’ingresso per gli ospiti, la mattina del 25 dicembre al carcere minorile di Torino è quasi come in una parrocchia. Non ci sono i genitori dei 40 ragazzi detenuti ma a far loro da famiglia ci sono i giovani  della vicina parrocchia della Visitazione e San Barnaba che qui ogni quindici giorni animano la liturgia domenicale. E poi i volontari, gli educatori, il procuratore della Repubblica per i minorenni Anna Maria Baldelli, la vice direttrice del carcere Elena Grasso, la piccola Sofia, 6 mesi, con papà e nonni: la sua mamma, Barbara guida il coro. Ma questo è un «Natale speciale», sottolinea il cappellano, il salesiano don Domenico Ricca che qui tutti chiamano don Mecu: «È il Natale del Giubileo della Misericordia che il papa ha voluto regalarci indicando le carceri come luogo privilegiato per sperimentare la tenerezza di un Dio misericordioso che perdona all’infinito. A patto che anche noi qui dentro perdoniamo, ripensiamo alla nostra vita, siamo attenti ai nostri compagni ».

I ragazzi del Ferrante, soprattutto stranieri - una minoranza cattolica il resto ortodossi e musulmani - quando viene nominato il papa si scambiano occhiate compiaciute: il 21 giugno scorso, durante la sua visita apostolica a Torino, Francesco ha voluto che pranzassero con lui - insieme a una famiglia rom e ad alcuni profughi - anche dieci di loro, in rappresentanza dei detenuti torinesi. «Il papa ci vuole bene – ci dice uno di loro al termine della Messa – io sono stato a quel pranzo non lo dimenticherò mai: è stata la cosa più bella della mia vita».  

E a sottolineare la straordinarietà del «Natale della misericordia», don Mecu, grazie alla donazione di un benefattore, ha portato in carcere una statua di Maria Ausiliatrice, intagliata nel legno di tiglio dallo stesso artigiano, Aldo Pellegrino di Boves, che ha realizzato la statua di don Bosco, collocata nella cappella del Ferrante nel Bicentenario del santo e benedetta da mons. Cesare Nosiglia lo scorso 2 febbraio. Fu proprio dentro le mura di questo carcere – che nell’Ottocento si chiamava «La Generala» che don Bosco, visitando i giovani detenuti, «inventò» gli oratori e il suo sistema preventivo. «Don Bosco amava la Madonna e invitava i suoi ragazzi a pregarla nelle difficoltà – ricorda il cappellano – anche nel Corano la Madre di Gesù è un esempio per l’umanità. Questa statua nella nostra cappella sarà un punto di comunione per tutti voi cattolici, musulmani, ortodossi. Potrete rivolgervi a lei nei momenti bui: porta in braccio un Bambino che è nato per portarci la luce. Un Bambino che ci ricorda i tanti bambini che continuano a morire anche in questi giorni di festa  nei naufragi della disperazione, che ci richiama a non dimenticarci di chi soffre fuori di qui».

E a proposito di bambini, don Ricca consegna ai ragazzi un cartellone e una letterina di auguri inviata al Ferrante da una classe di catechismo di Monasterolo di Cafasse: «Vi pensiamo - scrivono i ragazzini - in questo  Natale della Misericordia – vi auguriamo di non perdervi d’animo». Come invece ha fatto Josef, 17 anni, un amico di uno dei ragazzi detenuti che si è tolto la vita e per cui ha chiesto ha don Mecu di pregare durante la Messa. Il cappellano invita tutti a ricordare i giovani che come Josef sono travolti dalle vicende della vita e non trovano nessuno nella loro strada che offra loro un appiglio. «Non c’è mai nulla di irreparabile – avverte don Mecu –  questo ci vuole dire il papa con il Giubileo della Misericordia».

Finita la Messa c’è un piccolo rinfresco. Giorgio, uno dei detenuti, offre con orgoglio i suoi ottimi biscotti con gocce di cioccolato. «Li ho preparati per oggi al laboratorio di arte bianca – spiega – quando esco spero di diventare pasticcere». Gli agenti richiamano all’ordine, si torna in cella a malincuore, con in mano un pezzo di panettone e un biscotto di Giorgio, pensando alla prossima «Messa solenne» (con rinfresco): don Mecu ha annunciato ai ragazzi che l’Arcivescovo Cesare Nosiglia, che al Ferrante è di casa, celebrerà con loro il Giubileo, domenica 31 gennaio, festa liturgica di don Bosco.

 

Al carcere delle Vallette

 

E come di consueto nei giri d’auguri della Torino che soffre - e che l’Arcivescovo definisce «il mio presepe di Natale» - anche quest’anno non è mancata una tappa al carcere delle Vallette nella mattinata della Vigilia. Giovedì 24 mons. Cesare Nosiglia ha varcato i cancelli della Casa circondariale «Lorusso e Cotugno» accompagnato dal cappellano don Alfredo Stucchi e dal diacono Vincenzo Prota. L’Arcivescovo ha incontrato un gruppo di detenuti e detenute in rappresentanza dei 1200 che vivono alle Vallette, soffermandosi in particolare nella sezione speciale delle mamme con bambini. È stato un momento molto commovente che ha segnato profondamente le madri recluse e i volontari che con il loro servizio rendono il più possibile famigliare un luogo inadatto ai più piccoli. «Papa Francesco – ha sottolineato mons. Nosiglia – indica le carceri come uno dei luoghi privilegiati dove vivere il Giubileo della Misericordia. Dio ci perdona sempre, sempre abbiamo la possibilità di ricominciare. Anche il carcere può essere un luogo di riscatto e di redenzione, dove possiamo sperimentare la misericordia di Dio se siamo misericordiosi con i nostri compagni e con il personale, favorendo un clima di solidarietà, di collaborazione, di rispetto. Così il tempo della detenzione non sarà trascorso invano».

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