La generazione della rete

Il 19 novembre l'Agorà del Sociale della Diocesi di Torino si concentrerà sul tema giovani. Il sociologo Cristopher Cepernich ne descrive la realtà

Parole chiave: agorà (11), giovani (205), chiesa (665), società (56)
La generazione della rete

Cristopher Cepernich è professore di Sociologia dei media all’Università di Torino. Lavora con i giovani, con loro è a contatto nel mondo accademico. Con questa intervista, affronta per il nostro settimanale,  il cuore del tema della prossima Agorà del Sociale.

Si può parlare di categoria giovanile e su quali basi questo è possibile?

La categoria giovani è costruita secondo degli indicatori sociali e dipende dalla geografia di riferimento. Mi spiego è chiaro che i giovani di Torino sono diversi da quelli di altre città o paesi in Italia o nel resto d’Europa o del mondo. Cercando di generalizzare bisogna tenere conto di una variabile per analizzare il mondo nel quale i giovani si trovano a vivere. Si tratta di un contesto inedito, davvero in un paradigma tutto nuovo in campo sociale con tutte le implicazioni possibili: relazioni, intrattenimento, gioco, scelte, responsabilità. Questa complessa realtà è la rete. Non nella sua dimensione esclusivamente digitale, intendere la rete come Internet sarebbe riduttivo, ma in senso più ampio possibile. Perché la vita dei ragazzi nella famiglia, nella scuola, nelle prime esperienze di socialità passa attraverso una struttura sociale che è del tutto nuova: una struttura che possiamo chiamare reticolare. Se noi pensiamo che il 90% dei nostri ragazzi porta sempre con sé uno smartphone, usa whatsup e i social network per le sue relazioni con gli amici e i compagni di scuola, e stanno crescendo con l’idea di stare connessi 24ore su 24 anche quando non sono insieme. Questo prefigura un tipo di socialità, relazione e affettività e si potrebbero declinare molteplici altre situazioni, cambia in modo strutturale il mondo di essere e di vivere. Se non partiamo da questa realtà immaginiamo una gioventù che non esiste o è una nostra costruzione teorica che è tramontata dopo le generazioni oggi adulte.  

Il rapporto intergenerazionale. Padri e madri e figli comunicazione o indifferenza?

C’è molta meno conflittualità intergenerazionale oggi, di quanto ce ne fosse stata in passato. Se ci sono motivi di interesse sono da riscontrare nel fatto che fino a qualche decennio fa i giovani avevano tutto da imparare dalle generazioni adulte oggi accade, in certi settori, il contrario. Pensiamo solo al campo della tecnologia e del digitale. Le agenzie di socializzazione che tradizionalmente sono state la famiglia, la scuola fondamentalmente hanno mantenuto il monopolio dell’educazione. Oggi, nella nuova struttura sociale, i giovani acquisiscono capacità prima su aspetti che le generazioni adulte non conoscono o faticano a comprendere. Tutti possiamo riscontrare un dato di fatto, molti di noi ci siamo fatti aiutare per scaricare una app o un software da un figlio o un nipote. Per certi aspetti, c’è un senso di frustrazione da parte delle generazioni adulte rispetto a competenze dei nativi digitali. Ciò che garantiva, in passato, in termini di conoscenza e competenza, e in qualche modo legittimava gli adulti come agenzia di socializzazione ed educazione, pensando ad un vantaggio reale rispetto ai giovani, oggi si è ridotto. Questo fatto è forse un motivo di tensione intergenerazionale che misura anche una certa idiosincrasia al cambiamento da parte degli adulti, dettata da ragioni economiche (mancanza di risorse e di lavoro) ma anche di coraggio verso il nuovo e la capacità di leggere la complessità del reale.. Che vita costruire, quali scelte realizzare, sono alcune delle domande che i giovani si pongono e che non trovano negli adulti risposte e consigli in grado di sostenerli in modo profondo. Insomma come se il tempo fosse andato troppo avanti rispetto ad altri periodi del passato.

Le prospettive future per i giovani oggi e adulti domani, rispetto al lavoro, alla mobilità, alle scelte personali

E’ cambiata la società e le persone si devono adeguare. Il fatto di avere più relazioni internazionali, il poter uscire dai confini territoriali, di voler praticare scelte innovative, tutto questo si traduce in una realtà nuova. O i ragazzi diventano imprenditori di se stessi e investono sulla loro formazione questo dovrebbe responsabilizzarli di più. La società ti chiede di essere propositivo e innovativo nelle dinamiche di relazione e di professione, l’investimento nella scuola e nell’Università non può essere preso come scocciatura o una perdita di tempo, ma come un tempo di responsabilità e di crescita.  Adattarsi a questa realtà non è semplice, ci vuole tempo, visione e progettazione non solo individuale. Mettere al centro se stessi, la persona e sperare in una dimensione reticolare che sia più diffusa e virtuosa. Analizzando la situazione oggi però ci evince come  la società, i luoghi di formazione possono darti delle opportunità e degli strumenti, ma essi possono debbono essere messi a frutto in un ambito individuale perché sono sempre meno un fattore sociale condiviso. Non è detto che ciò sia positivo ma è la condizione data e contingente con la quale è necessario misurarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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