Il volto sofferente dei profughi nella città

Storie e volti di donne e uomini in cerca di dignità e una vita migliore a Torino, tra chiesa e comunità 

Parole chiave: profughi (55), migranti (82), torino (730), città (139), chiesa (665)
Il volto sofferente dei profughi nella città

Non hanno nome, non hanno casa, non hanno più storia. Arrivano da quei paesi che per tanti anni sono stati dimenticati da Dio e dai media, ma non dalle economie globali, dai mercanti di armi e dai giochi di potere. Arrivano dal Pakistan, dal Bangladesh, da alcuni paesi dell'Africa. Scappano dalla guerra, dalla povertà, dalla fame e dagli abusi. La loro meta, però, è lontana dalla Mole: l''Inghilterra, la Svezia, la Finlandia. Difficile dire un numero preciso. Non sono sbarcati a Lampedusa e non sono stati identificati; le loro impronte digitali non sono state prese.

Hanno un viso, un corpo, ma non sono nessuno. Si parla di un centinaio di individui che girano per la Città nella speranza di riuscire ad andare altrove. Non sono rifugiati e non hanno nemmeno iniziato la pratica per ottenere lo status Non sono nemmeno richiedenti asilo, perché ancora non sono ancora stati ricevuti dagli appositi uffici. «Ogni notte queste persone si uniscono ai senza tetto per riuscire a entrare nel nostro dormitorio» – raccontano dal Sermig –  «Impossibile quantificarli. Negli ultimi mesi saranno stati una quarantina. Sperano in una cena, una doccia, un letto su cui dormire e una colazione. Non riescono, e talvolta non vogliono, entrare nei progetti del Comune.

Qui in piazza Borgo Dora puoi rimanere al massimo un mese, ma loro generalmente se ne vanno molto prima. Se sono donne cerchiamo di tenerle un po' di più, ma purtroppo non è semplice. Una volta che escono di qui non sono tutelati ne controllati da nessuno». E se qualcuno ha interesse a non farsi identificare, qualcun altro ci prova. Sono circa una ventina, donne e uomini, che dormono davanti agli uffici della Questura in via Grattoni, in attesa di essere ricevuti e iniziare le pratiche. «Dormo qui da più di una settimana – racconta Gift, 2  nigeriana – Aspetto che e qualcuno mi riceva e mi dica cosa fare». Stessa sorte per Messi, 21 anni, ghanese. «Non ho un posto dove andare e nessuno da chiamare. Ho bisogno di un foglio che dica chi sono e perché sono qui». «Sono tante le persone che non sono inserite nei progetti del Comune e nei centri d'accoglienza – interviene Sergio Durando, direttore regionale della Caritas Migranti – Trovano sistemazioni di fortuna per strada. Quest'anno l'emergenza freddo si occuperà anche di loro, ma pensare a procedure diverse, così che anche a questa gente venga data un'opportunità».

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