Il procuratore Anna Maria Baldelli: "ragazzi e famiglie non siete soli"

Il magistrato per i minorenni Anna Maria Baldelli: giustizia, polizia,  scuola e associazionismo da anni contrastano il bullismo: nel 2016 62 ragazzi «usciti»  

Parole chiave: giustizia (15), bullismo (4), minori (9), intervista (13), Torino (730)
Il procuratore Anna Maria Baldelli: "ragazzi e famiglie non siete soli"

122 scuole del Piemonte coinvolte nel «Gruppo noi» per prevenire conflittualità tra i banchi di scuola; un progetto sperimentale, chiamato  «Sicursè» per sostenere le vittime del bullismo: sono solo alcune delle azioni messe in campo dalla Procura dei minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta diretta dal 2010 da Anna Maria Baldelli. La Procura che ha sede in  corso Unione  Sovietica 327 è  capofila in Italia per la promozione sul territorio di azioni mirate alla prevenzione del bullismo. A partire dai fatti di cronaca di questi giorni, abbiamo chiesto al Procuratore cosa si sta facendo a Torino e in Regione per arginare gli episodi di violenza tra adolescenti e per sostenere le famiglie e chi ha il compito di educare i ragazzi.

«Quando nel 2010 ho iniziato l’opera di sensibilizzazione sul bullismo sono partita da sola: ero profondamente convinta dell’importanza della prevenzione ma non avevo idea di cosa avrei trovato sul mio cammino: invece ho incontrato tantissime persone perbene, appassionate del loro mestiere sia nei servizi e nella  polizia che nelle scuole e nelle associazioni. E man mano che andavo avanti ne incontravo sempre di più perché il territorio ha una matrice sana, soprattutto i ragazzi hanno una radice sana: se vengono aiutati a responsabilizzarsi e guidati nella loro fantasia sanno realizzare progetti innovativi e soddisfacenti che  motivano loro stessi e gli adulti che lavorano con loro. In questi anni ho visto trasformarsi insegnanti, agenti di polizia che lavoravano gomito a gomito con questi ragazzi davvero motivati a cambiare».

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Il bullismo dunque si può estirpare…

Ne sono convinta: il grido disperato e coraggioso insieme di quel padre che posta su facebook la foto del figlio tredicenne tumefatto dai suoi coetanei è un Sos che le istituzioni devono raccogliere: non deve accadere che un genitore si debba sentire così solo da compiere un gesto, purchè qualcuno intervenga,  che perseguiterà per tutta la vita quel ragazzino. Noi come istituzioni dobbiamo essere visibili, non solo agire ma essere un punto di riferimento in modo che i genitori siano certi che se si denunciano le violenze l’intervento sarà immediato. Ma prima che l’aggressività e le vessazioni fra adolescenti diventino reato si può fare molto per prevenire i rischi di devianza: i ragazzi con le problematiche più varie rimandano sempre ad un bisogno profondo di crescita e si possono mettere in campo valori e strumenti che possono permettere poi un inserimento sociale adeguato. Per noi ciò che accade a scuola è di particolare importanza: anche fatti «bagatellari» possono manifestare un disagio. Per questo, soprattutto con il Nucleo di Prossimità del Corpo di Polizia Municipale di Torino (vedi a pag.3) con cui la nostra Procura ha una convenzione da 2010 e con la cooperativa sociale  Asai con cui abbiamo una convenzione dal 2012, operiamo per fare in modo di intercettare il disagio prima che diventi reato.

Un lavoro capillare, quasi porta a porta…

È davvero così ed è uno sforzo che porta a risultati che non fanno notizia come i rari episodi di violenza estrema al centro delle cronache di questi giorni. È un impegno di sostegno che si deve fare (e facciamo) con  i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti e il territorio  e cioè le forze di polizia, i servizi sociali di psicologia e psichiatria, i sert, le parrocchie, le società sportive, gli oratori: tutto quello cioè che è  comunità intorno alla scuola e che serve ad affrontare il caso concreto.

Ci può fare qualche esempio?

Con la preziosa opera di presidio capillare nelle scuole del Nucleo di Prossimità, la Polizia è diventata per i ragazzi una «divisa amica» alla quale  si può raccontare cosa sta accadendo, senza temere che ci siano spinte alla punizione.  Con l’intervento dell’Asai è partito un progetto di recupero che prevede l’individuazione di  un percorso  nei casi in cui i ragazzi si siano resi responsabili di fatti di reato  che siano o no imputabili (la nostra Procura anche in ambito civile offre tutti gli strumenti necessari per poter intervenire). Nel 2016 si sono trattati 62 casi di ragazzi  inseriti in un percorso di riparazione nel quale hanno potuto da un lato, essere aiutati a focalizzare la loro responsabilità e ad assumersela e, dall’altro, a potenziare le loro abilità in una attività di riparazione: l’esito di questi 62 percorsi ha avuto successo al 100 per cento.

E cosa significa?

Che al termine del percorso autori e vittime si sono realmente riconciliati e si sono tolti di dosso l’etichetta di carnefice e di preda: e questo ci fa pensare che non ci saranno recidive da parte di quei ragazzi perché la trasformazione avvenuta durante il percorso è abissale. Quei 62 adolescenti  avrebbero potuto diventare delinquenti di domani; invece sono 62 ragazzi che, sono certa, non commetteranno più nessun reato. Ma non solo, contageranno i loro amici.

Dunque possiamo fare un appello ai ragazzi, alle famiglie e alle scuole a non avere paura ma a segnalare le conflittualità…

È da qui che   comincia la sicurezza: dal creare comunità intorno alle persone in modo che le famiglie, gli insegnanti e i ragazzi non si sentano soli: nessuno ha la bacchetta magica ma le soluzioni si trovano. Occorre avere fiducia che qualsiasi segnalazione di difficoltà in casa sul web, a scuola, per strada comporterà la messa in moto di chi deve intervenire e la ricerca di soluzioni il più possibile  finalizzate ad intervenire prima che si commettano dei reati:  perché quella è la prevenzione a cui mirare. La  prevenzione secondaria, per evitare che si ripetano episodi di violenza, non ci soddisfa e non ci basta perché significa che c’è stata una vittima mentre noi dobbiamo fare tutto il possibile perché non ci siano più vittime né autori di bullismo.

Alle scuole dunque ripeto che segnalare conflittualità non significa essere un istituto «malfamato»: anzi, significa essere  una scuola attenta ai propri allievi. Vorrei rassicurare infine le famiglie: non è mai accaduto finora nel nostro territorio che se una scuola chiede un intervento la polizia locale non si mobili.

Se venisse approvata la controversa riforma in discussione in Senato sul processo civile, che prevede la soppressione di Tribunali e Procure dei  minori accorpandole alla Giustizia ordinaria, l’opera di prevenzione al bullismo che ci ha illustrato che sorti avrebbe?

La Giustizia minorile ha una competenza distrettuale, ed essendo in mano alla Procura anche l’azione penale, siamo l’unico organo che può essere di riferimento a tutte le agenzie che operano sul territorio e lavorano attorno ai casi di cui abbiamo parlato. La Giustizia ordinaria non potrà certamente farsi carico della prevenzione non solo del bullismo. Per questo come magistrati minorili ci siamo mobilitati perché la riforma non venga approvata.   

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