Durando: "Profughi, non possiamo più improvvisare"

Ottantamila sbarchi in 6 mesi – Francia e Spagna vorrebbero blindare i porti, l’Austria sorveglia il valico del Brennero. La Chiesa torinese è in prima linea nell’accoglienza ma il direttore dell’Ufficio Migranti parla chiaro: «la politica dei tappabuchi non reggerà l’urto, l’Europa deve lavorare insieme». 

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Durando: "Profughi, non possiamo più improvvisare"

Mentre non si fermano gli sbarchi di disperati nei porti italiani, si fa teso il clima nell’Europa dei palazzi, lontana dalle coste del Mediterraneo.  Alla vigilia del vertice dei ministri dell'Interno dell'Ue sulle migrazioni, in programma giovedì 6 luglio a Tallinn in Estonia, martedì 4 luglio alla riunione indetta a Strasburgo per preparare il documento in 8 punti a cura della Commissione europea hanno partecipato solo una trentina di parlamentari. Le assenze hanno scatenato le ire del presidente della Commissione,  Claude Juncker, contro il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani che ha dovuto puntualizzare: «è la Commissione sotto il controllo del Parlamento, non il contrario».

Le istituzioni Ue litigano, i Governi di Francia e Spagna fanno sapere che non permetteranno lo sbarco nei loro porti delle persone soccorse nel Mediterraneo, l'Austria minaccia di schierare l'esercito al Brennero. E intanto l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) fa sapere che sono più di 100 mila le persone arrivate nel Vecchio Continente attraversando il Mediterraneo da gennaio a oggi: di questi più di 85 mila sono sbarcati direttamente nelle coste italiane e 2.247 sono morti.

Di fronte a questo scenario, che non fa ben sperare per la buona riuscita della riunione di Tallin, abbiamo chiesto a Sergio Durando, direttore dell’Ufficio pastorale Migranti della diocesi di Torino, di aiutarci a capire gli scenari possibili e il ruolo della Chiesa nell’accoglienza dei migranti.

Non è la prima volta da quando è iniziata l’emergenza immigrati che, con l’arrivo dell’estate e del bel tempo, si torna a parlare di sbarchi nel Mediterraneo…

D’estate è fisiologico che i flussi migratori aumentino, ma l’esodo continua durante tutto l’anno e nell’ultimo mese c’è stato un incremento degli arrivi del 15-18%. Quello che continua a non funzionare è lo stress del sistema di accoglienza, in emergenza da anni: si mobilita in base agli arrivi senza una programmazione. L’Europa, alle buone intenzioni non è stata un grado di far seguire l’attuazione di un dispositivo efficace per regolarizzare gli arrivi. Dopo l'operazione Mare nostrum, sostituita con l’operazione «Triton di Frontex», l’Europa ha fatto un passo indietro scaricando su Italia e Grecia il peso dell’accoglienza e ha lasciato che le Ong fossero gli unici organismi che si occupano di salvare le vite in mare. Anche il ricollocamento previsto dall’Ue nei Paesi membri non ha funzionato: nel 2017 su 35 mila migranti richiedenti asilo solo 7 mila sono stati ricollocati, un numero troppo esiguo. Per questo motivo l’Italia in vista del vertice di Tallinn chiede all’Europa «basta proclami, vogliamo programmi».

L’Italia, da Paese di transito verso l’Europa, sta diventando Paese di arrivo dei flussi migratori. Quali sono nel nostro Paese i rischi di questa assenza di politica dell’Ue?

Il numero di persone che si muovono per povertà, guerre, carestie e persecuzioni è in aumento e non si arresterà: questa è una realtà con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni e finora le risposte dell’Europa sono state inadeguate. L’Italia, per via della sua collocazione geografica, è da sempre un paese di primo arrivo con un aumento progressivo delle persone in prima accoglienza, con il pericolo, con il passare del tempo, del permanere in una situazione di costante emergenza che rischia di  abbassare la qualità degli standard di accoglienza con gestori delle strutture non preparati ed edifici destinati a diventare parcheggi ingestibili. Se non si interviene al più presto nel passare dall’emergenza alla gestione strutturata degli arrivi, il rischio è di alimentare episodi di intolleranza come quello registrato nei giorni scorsi a Vobarno, nel bresciano, dove sono state lanciate bombe molotov contro un albergo destinato ad ospitare alcuni migranti. Certamente c’è anche una responsabilità dei media che enfatizzano notizie allarmistiche e di razzismo e diffondono pochissimo esperienze positive - e sono molte - di integrazione. Finché non si affronta il problema alla radice responsabilizzando tutti i Paesi dell’Unione e si favoriscono scorciatoie, come foraggiare la Turchia perché chiuda  le frontiere o la Libia perché blocchi le traversate del Mediterraneo, stipando la gente nei campi-carcere dove sappiamo che si sopravvive in condizioni disumane, non usciremo dall’emergenza e i migranti continueranno a morire. Anche il divieto d’ingresso delle Ong  nelle acque libiche ventilato dal ministro Minniti è inaccettabile: in gioco c’è il salvataggio di vite umane. Così pure non è ammissibile la proposta di Macron di far entrare in Francia solo i richiedenti asilo e di respingere i «migranti economici, cioè chi muore di fame»: la vergogna francese al confine di Ventimiglia è sotto gli occhi di tutti.

L’Europa di fronte al problema immigrazione si frantuma, alza barriere, cerca scorciatoie o gioca allo scarica barile…

E invece l’Europa non avrà futuro se non affronta l’emergenza immigrazione in modo serio, studiando percorsi di integrazione e di inserimento nelle comunità:  se il nostro continente non riuscirà a dare una prova di maturità, se non metterà in campo risposte strutturali a un problema strutturale,  vincerà la paura collettiva, le  reazioni ostili,  le chiusure e saliranno le tensioni sociali. Invece, bisogna fare in modo che nell’accoglienza vengano coinvolti i Comuni  evitando le grosse concentrazioni di migranti ma distribuendo le persone in piccole comunità che si possano integrare più facilmente. Ci sono tante esperienze in questo campo che stanno funzionando. Per fare questo occorre ad esempio in Italia che il sistema Sprar (Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) coinvolga i Comuni. Finora solo 25 mila persone sui 180 mila che ne hanno fatto richiesta sono state accolte nello Sprar mentre gli altri sono finite nei  Cas,  Centri di accoglienza straordinari, perché evidentemente i posti Sprar non sono sufficienti.

Qual è il ruolo della Chiesa nella sfida lanciata all’Occidente dall’immigrazione?  

Il tema dell’accoglienza dello straniero che bussa alle nostre porte ci chiede di confrontarci con la testimonianza della nostra fede. Siamo di fronte ad un esodo di popoli che non può più farci considerare la pastorale dei Migranti solo come un «settore»: è un impegno di tutta la Chiesa. Siamo chiamati ad essere in prima linea in una situazione così delicata, nell’accoglienza dignitosa degli ultimi, anche se è nostro dovere -  fermo restando che il profugo, il rifugiato e chi ha fame sono la carne di Cristo che ci interpella - responsabilizzare chi è preposto a dare risposte strutturali e cioè lo Stato.  Spesso gli organismi istituzioni ecclesiali suppliscono all’assenza delle istituzioni ma accanto al dovere dell’accoglienza con particolare attenzione ai minori non accompagnati, alle donne vittime della tratta, ai più deboli, la Chiesa è invitata a sollecitare e a favorire reti sul territorio, dove ognuno fa la sua parte secondo responsabilità precise. Senza una regia dell’accoglienza che vada oltre l’emergenza, senza l’opera di sensibilizzazione presso i governi a promuovere sviluppo e ricchezza nei Paesi da dove si fugge, difficilmente si supererà l’impasse in cui è imprigionata l’Europa.    

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Immigrazione

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