Contro la radicalizzazione fondamentalista nelle carceri europee

Il lavoro del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, dalla Missione Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa e dalla Commissione Internazionale della Pastorale Cattolica nelle Carceri

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Contro la radicalizzazione fondamentalista nelle carceri europee

Il 19 ottobre scorso la Commissione europea aveva ospitato la prima conferenza ad alto livello sulla risposta della giustizia penale al fenomeno della radicalizzazione. C’erano ministri della giustizia, membri del Parlamento europeo, funzionari dei governi nazionali, il coordinatore antiterrorismo dell'Unione Europea, Eurojust, pubblici ministeri e direttori di carceri. La domanda di fondo era quali strategie adottare per contrastare più efficacemente la radicalizzazione e fare in modo che la giustizia penale risponda in modo adeguato a questa sfida comune ai 28 paesi membri. Più di recente, il 2 marzo, il consiglio d’Europa ha messo a disposizione dei suoi 47 stati membri delle “Linee guida per la prevenzione della radicalizzazione di prigionieri e delle persone in libertà vigilata e per la riabilitazione di coloro che sono già radicalizzati”. La consapevolezza è che le prigioni sono terreno fertile per queste derive che, seppure coinvolgono una minoranza di persone anche tra i detenuti, hanno ripercussioni ed esiti pesanti sulle società europee. Cause immediate, secondo il documento, sono il sovraffollamento, condizioni inadeguate, atteggiamenti di discriminazione o islamofobia, misure disciplinari sproporzionate. 

Anche il mondo delle religioni, presente negli istituti penitenziari attraverso i cosiddetti “cappellani”, si è confrontato con la domanda della prevenzione al fenomeno della radicalizzazione, in un incontro ecumenico ed interreligioso a Strasburgo a fine maggio, voluto dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, dalla Missione Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa e dalla Commissione Internazionale della Pastorale Cattolica nelle Carceri (ICCPPC). La risposta dal taglio principalmente pastorale che arriva è chiara: è necessario che negli istituti di pena si promuovano il rispetto per la dignità umana dei prigionieri e si costruisca un ambiente caratterizzato dalla fiducia reciproca, basandosi sull’etica della reciprocità, ovvero la regola d'oro: "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te". I ‘cappellani’ delle diverse religioni possono essere un valido strumento per collaborare a questi obiettivi e per educare al rispetto per le persone di altre fedi. “Un'autentica spiritualità porta sempre alla pace e al rispetto dell'altro” si legge nel documento finale.  Dalla discussione tra questi curatori di anime molto ferite è emersa una valutazione positiva sulle “Linee Guida” del Consiglio d'Europa, soprattutto là dove ribadiscono la necessità di rispettare il principio della libertà di espressione e la libertà di religione nelle carceri permettendo nei limiti del possibile, che siano espresse la cultura e le tradizioni religiose dei prigionieri (abitudini alimentari, abbigliamento, opportunità per osservare il culto e le festività religiose). Un punto di forza della presenza dei ‘cappellani’ nei penitenziari è il rapporto personale che si crea con i carcerati “uno spazio sicuro, uno spazio di libertà, che deve essere preservato a tutti i costi e che permette un confronto aperto che si basa sulla fiducia e il mutuo rispetto”.  

Perché questo possa continuare e perché i cappellani carcerari restino “i più importanti garanti contro i maltrattamenti nelle carceri di tutto il mondo”,  si invitano governi, autorità carcerarie e capi religiosi a concedere “libertà, autorità e opportunità” per continuare un servizio che è rivolto anche al personale, ed è perciò un “contributo positivo al benessere di tutta la comunità carceraria”. Per evitare rischiose ingenuità, occorre però oggi migliorare le competenze di questi speciali operatori perché siano a conoscenza degli elementi di rischio, della tipologia e delle esigenze delle persone a più facile radicalizzazione. Dall’incontro di Strasburgo il pensiero è andato anche al giubileo dei prigionieri, convocato da papa Francesco il 6 novembre 2016 a Roma, “perché tutti siano toccati in modo tangibile dalla misericordia del Padre che vuole essere vicino a coloro che hanno più bisogno del suo perdono”, come ha scritto nella Lettera con la quale si concede l'indulgenza in occasione del giubileo straordinario della misericordia.

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