Alle Vallette va in scena la speranza

Uno spettacolo al carcere torinese delle Vallette dove adulti e giovani con disabilità salgono sul palco con i detenuti in un abbraccio che supera le barriere della malattia e del pregiudizio

Alle Vallette va in scena la speranza

«Se avessi una bacchetta magica vorrei tornare indietro nel tempo per cancellare il male che ho fatto a mia madre, il male che ho fatto a chi mi vuole bene, tutto il male che ho fatto. Ma un filo di luce è entrato nella mia vita e nonostante tutto, non è andata così male». Mario – il nome è di fantasia – è uno dei detenuti del carcere «Lorusso e Cutugno»: in cella scrive poesie e questa l’ha letta sabato scorso al termine dello spettacolo «Evasioni by liberi dentro», messo in scena da un gruppo di reclusi, di adulti con disabilità che vivono nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino e da alcuni giovani disabili che frequentano Casa Oz. All’iniziativa, che rientra nel progetto «La Pietra scartata dai costruttori» avviato 15 anni fa nel carcere delle Vallette, grazie all’intuizione del cottolenghino fratel Marco Rizzonato, hanno partecipato le giovani e brave percussioniste del Drum Theatre, la cantante e coordinatrice artistica Debora Sgro, tutti diretti da Sergio Cherubin dell’associazione Outsider onlus. Sul palco del teatro del carcere delle Vallette, attori, musicisti ballerini e poeti: lo spettacolo mette insieme in un suggestivo mix tutte le arti in modo che ciascuno, secondo le sue possibilità, possa esprimersi e contribuire alla buona riuscita della rappresentazione. Tra il pubblico, oltre ai genitori dei ragazzi di Casa Oz, i volontari del Cottolengo e del carcere, gli agenti, gli operatorie e il cappellano don Alfredo Stucchi, due ospiti d’eccezione: l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia e Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale Torinese.

Ed ecco allora alternarsi sketh, mimi, danze, letture poetiche, il canto dell’Alleluja, musica di percussioni: detenuti, giovani e adulti disabili si mescolano e i propri limiti fisici, caratteriali, le sbarre che imprigionano ognuno di noi - non importa se in carcere si vive davvero - si sciolgono in un abbraccio finale dove anche chi è in carrozzella e non può camminare sembra volare tra le braccia degli amici con cui si condivide il palco. C’è molta commozione tra il pubblico, molti gli applausi fuori scena, soprattutto quando uno dei detenuti ammette che ogni settimana quando ci si riuniva tutti per le prove dello spettacolo «dalla forza d’animo che mi hanno trasmesso gli amici del Cottolengo e di Casa Oz ho ritrovato la speranza».

Per questo lo spettacolo termina con un grande abbraccio, come spiega il regista Cherubin: l’amore e la bellezza abbattono tutte le barriere e «nella sincerità si sono incontrati uomini dietro le sbarre con uomini e donne dentro una disabilità».

«L’impossibilità di uscire dal carcere ha fatto nascere l’idea di portare le persone disabili dentro il carcere stesso – sottolinea fratel Marco Rizzonato – è nato così un incontro tra persone: all’inizio pensavo all’incontro di due realtà di volontariato e invece ho scoperto che si trattava di un incontro che generava affetto e accoglienza».

Anche Marco Canta, presidente di Casa Oz che partecipa al progetto con giovani disabili maggiorenni avviati ad un percorso di autonomia, sottolinea come «l’incontro tra persone che vivono una forma di costrizione – le sbarre e l’handicap – sia speciale: sono umanità che si accolgono e che non si giudicano ma che insieme superano i propri limiti».  

Anche l’Arcivescovo si è commosso e ha ringraziato tutti perché – ha detto al termine della rappresentazione «con voi ho trascorso un pomeriggio unico: in quanto Vescovo quando incontro la gente devo portare speranza: ma anche io ne ho bisogno e voi oggi ne avete data a me. Fuori c’è tanta tristezza: oggi qui, nonostante il luogo sia di sofferenza, mi avete trasmesso gioia perché uniti avete dimostrato che si possono superare le sbarre del pregiudizio, dell’indifferenza, della malattia. Non si può essere felici fuori se non lo si è nel cuore e voi oggi siete segno di un mondo nuovo che può nascere di qui, dentro un carcere».

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