La scuola non può dare lavoro a tutti i laureati disoccupati

Una nuova sanatoria con regolare immissione in ruolo per altri 60mila docenti precari

Parole chiave: precariato (1), scuola (84), legge (39), occupazione (13)
La scuola non può dare lavoro a tutti i laureati disoccupati

Non è necessario scomodare studi e ricerche condotte in varie parti del mondo per capire che la qualità di un sistema scolastico dipende in larga misura dalla preparazione culturale e professionale dei docenti. Da tempo l’Ocse sollecita le autorità scolastiche a selezionare accuratamente quanti sono destinati a formare le nuove generazioni e, al tempo stesso, a porre una particolare attenzione al riconoscimento sociale della professione docente per attrarre ad essa giovani validi e appassionati.

In Italia le cose vanno purtroppo in una direzione diversa. Ormai da molti decenni la scuola è vista dal ceto politico e sindacale soprattutto come un’occasione di impiego dei laureati disoccupati.

Durante la gestazione della legge sulla Buona Scuola sembrava che qualcosa dovesse finalmente cambiare. Il provvedimento fu propagandato come la ricetta che infallibilmente avrebbe eliminato precariato, supplenze, le «classi pollaio». L’immissione in ruolo di circa 80 mila docenti precari fu presentata come l’ultima sanatoria. Da lì in poi si sarebbe aperta una nuova stagione fatta di merito, concorsi, fine delle famigerate «graduatorie». Un ampio consenso accompagnò il provvedimento anche se chi lavora nella scuola molto dubitava che le promesse si sarebbero trasformate in realtà.

Le vicende successive hanno dato ragione si dubbiosi: il precariato non è finito, i supplenti hanno continuato a coprire i posti vacanti, i concorsi sono andati a rilento (molti di quelli banditi nel 2015 sono tuttora in corso) e questi stessi concorsi hanno documentato una diffusa impreparazione dei candidati (appena il 30-35% dei concorrenti è stato ammesso agli orali).

Cosa fa ora il Parlamento, d’accordo con il Governo e con i sindacati della scuola, in testa la Cgil? Una nuova sanatoria con regolare immissione in ruolo per altri 60 mila docenti tuttora precari, in maggioranza composta proprio da quei laureati che non sono riusciti a superare le prove scritte dei concorsi. Insomma esattamente il contrario di quello che il buon senso, prima ancora degli studi, delle ricerche e delle raccomandazioni dell’Ocse, suggerisce.

I giovani che stanno ora per laurearsi – questo è l’altro aspetto del problema che dovrebbe preoccupare – possono soltanto sognare la cattedra, ma difficilmente la vedranno prima di qualche anno perché gli organici sono ormai saturi. Saranno messi in lista d’attesa con il nuovo iter (lunghissimo, nove anni!) previsto per accedere all’insegnamento stabile. In tal modo si prenderà tempo per attendere che qualche migliaio di docenti vada in pensione e si rendano disponibili nuovi posti.

La scuola è un’istituzione nella quale gli errori si pagano nel tempo. La mediocrità scolastica di questi anni documentata, tra l’altro, dalle difficoltà linguistiche che persistono addirittura all’Università, risale alla falsa convinzione assai diffusa tra gli anni ’80 e ’90 che la scuola aperta a tutti dovesse coincidere anche con programmi meno severi e soprattutto meno selettivi. Insomma una «scuola facile».  Pagheremo domani in modo altrettanto salato la leggerezza con la quale oggi reclutiamo i docenti, giungendo al paradosso di agevolare la carriera anche di chi è stato bocciato in un concorso.

Come rimediare? Il reclutamento andrebbe decentrato a livello locale (come accade in molti Paesi europei) con forme concorsuali snelle gestite da reti di istituti. Allo Stato dovrebbe spettare soltanto l’accertamento dei requisiti-base indispensabili per l’insegnamento (l’abilitazione, tanto per intenderci). Per il resto se si vuole davvero pensare in una logica di autonomia e al tempo stesso di efficienza tutto andrebbe delegato alla responsabilità delle scuole. 

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