Istruzione si cambia

Dopo lo sciopero svoltosi in settimana, si impone una riflessione su come e in quale direzione orientare il progetto scuola nel nostro Paese

Parole chiave: proteste (1), scuola (84), riforma (44), sciopero (3)
Istruzione si cambia

Le prossime settimane saranno decisive per il piano di interventi scolastici (forse è eccessivo definirlo riforma) fortemente voluto dal presidente del Consiglio Renzi e dal ministro dell’Istruzione Giannini e messo in campo nelle scorse settimane con un apposito disegno di legge. La parola è ora passata al Parlamento e vedremo se davvero il governo – come ha ripetutamente assicurato lo stesso Renzi – ha posto la scuola al centro delle sue strategie. Per intanto, secondo un rituale che è stato più volte collaudato in occasioni precedenti (vedere le contestazioni in anni andati ai ministri Berlinguer e Moratti che in verità predisposero riforme ben più radicali di quelle proposte da Renzi-Giannini), i sindacati della scuola hanno avanzato severe critiche sfociate in uno sciopero dai contorni difficili da decifrare perché dietro l’unanimità della protesta si celano valutazioni e interessi molto diversi.

Una significativa parte del mondo sindacale è principalmente interessata a vedere approvata l’assunzione del 100 mila circa precari prevista dal disegno di legge. Se il provvedimento non sarà varato in tempi rapidi sarà molto difficile – se non impossibile – predisporre tutte le operazioni amministrative necessarie perché i neo assunti prendano servizio al prossimo 1° settembre. Inutile ricordare che su questo punto Renzi, con i ripetuti annunci, ha innescato molte aspettative.

La lista delle priorità prevede anche numerose altre questioni variamente distribuite. C’è chi lamenta il rischio di un eccessivo potere concentrato nelle mani dei presidi-manager, chi protesta perché si profila all’orizzonte l’eventualità che gli insegnanti siano valutati e che, di conseguenza, anche i livelli retributivi possano venire commisurati alle loro capacità professionali e ai risultati ottenuti, chi vorrebbe impegni più precisi e decisi nel campo della sicurezza e dell’edilizia e chi, infine, vorrebbe estendere il piano delle assunzioni a tutti i precari.

Per alcuni settori del sindacato è inoltre primario fermare il governo nel presunto cedimento a favore delle scuole paritarie e rivendicare una più decisa difesa della  «scuola pubblica»  (dimenticando che la scuola pubblica è insieme quella statale e quella paritaria). Inutile dire che la modestissima apertura fiscale a favore delle famiglie che scelgono l’istruzione paritaria primaria non danneggia la  «scuola pubblica»  e dietro la protesta sta una evidente dose di chiusura ideologica.  L’impressione – in una parola – è che dietro a molti slogan e prese di posizione ci sia la volontà di difendere interessi particolari, di conservare lo status quo, di alimentare il risentimento e la stanchezza; per alcuni anche il tentativo di usare la protesta per una contestazione politica.

Si direbbe che l’indignazione, sincera o drammatizzata, costituisca la nota dominante delle ultime settimane, prendendo il posto della discussione. Neppure i propositi di Renzi e Giannini sono ovviamente esenti da limiti e da compromessi, ma le voci di coloro che preferiscono ragionare sono sovrastate dal frastuono e dell’invettiva di chi protesta, spesso per motivi e interessi diversi. La stessa data scelta per lo sciopero ha un sapore polemico e contrappositivo che forse sarebbe stato meglio evitare. Il 5 maggio coincide infatti proprio con la data da tempo programmata di una rilevazione dell’Invalsi sui livelli di apprendimento degli alunni. Come è ben noto una parte non piccola degli insegnanti  «digerisce»  mal volentieri questo genere di prove, di normale impiego in tutti gli altri sistemi scolastici europei. Il timore è che attraverso di esse si giunga alla tanto temuta valutazione degli insegnanti.

Questa coincidenza documenta la difficoltà di una parte del mondo scolastico ad accettare i cambiamenti anche di fronte a un piano di interventi che mette sul tappeto un’assunzione di personale e la promessa di concorsi regolari a partire dal 2016, entrambe senza precedenti e rilancia l’autonomia delle scuole.

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