Mare Mediterraneo: luogo di conflitto o di pace

Una sfida globale nella quale sono coinvolti il sud Europa, Medioriente e Africa

Parole chiave: mediterraneo (9), pace (90), politica (133), emigrazione (5), migranti (82)
Mare Mediterraneo: luogo di conflitto o di pace

Tutti abbiamo sotto gli occhi quanto sta capitando nei territori che si affacciano intorno al Mediterraneo, fra Europa, Africa e Medio Oriente. Nessuno può illudersi che sia un fenomeno locale o transitorio, è invece di portata mondiale e destinato ad influenzare fortemente e profondamente il corso della nostra storia, ora e nel futuro. Sulle sponde del Mediterraneo, da sempre si affacciano popoli diversi, con culture e lingue diverse; da sempre ci sono flussi di gruppi più o meno numerosi di persone alla ricerca di condizioni di vita migliori per sé e per le proprie famiglie. Molti colgono questa diversità con timore (l’invasione da parte di estranei) oppure con insofferenza (abbiamo già fin troppi problemi noi, perché dobbiamo farci carico anche di questi altri ?).È innegabile che la differenza culturale, delle tradizioni e del modo di vivere è parte rilevante del problema. Il nostro modo di vivere da Europei è frutto di progressivi piccoli cambiamenti nel tempo (nell’arco di secoli), è figlio di un modo di pensare (filosofia certamente, ma anche concezione religiosa), è figlio di quell’afflato di cambiamento e di quella affermazione della dignità della persona (di ogni persona) che ha caratterizzato la rivoluzione francese, è figlio anche della rivoluzione industriale. Ora questo nostro modo europeo di essere si trova a confrontarsi con quello di altre civiltà, che, per strade diverse, con passaggi epocali diversi, si sono anche loro lentamente progressivamente evolute facendo emergere tradizioni diverse e stili di vita diversi.

Chiunque di noi abbia familiarità con l’Europa sa che, nonostante la comune appartenenza a quello che è definito come  “l’occidente”, anche essa è fatta di tante diversità. Dopo i terribili bagni di sangue delle due grandi guerre che l’hanno insanguinata nel corso del ‘900 senza portare a soluzioni, è prevalso un diverso grandioso disegno: non solo si può convivere pacificamente, ma ci si può mettere insieme per condividere più profondamente una storia comune. È un percorso non ancora compiuto (ad esempio non siamo ancora stati capaci di darci una costituzione europea), sempre soggetto alle difficoltà di un confronto con il quotidiano, confronto che si fa particolarmente complesso nei periodi, come quello che stiamo vivendo, di difficoltà economiche, segnato da un espandersi della fascia di povertà, dalla regressione della qualità di vita delle famiglie, da un espandersi preoccupante dei livelli di disoccupazione giovanile.

Eppure l’Europa rappresenta evidentemente una sorta di «terra promessa» (nel senso di terra delle promesse) per chi da generazioni vive situazioni di endemica povertà, di costrizione delle libertà fondamentali del uomo, di umiliazione della dignità della persona. In questi tempi più recenti il permanente pervadente stato di guerra che sconvolge alcune regioni del vicino oriente e del nord dell’Africa, ha posto la domanda della vita a molte persone e a molte famiglie.

Per nessuno è semplice fare la scelta di andarsene lontano, di abbandonare il proprio paese natale, parte della propria famiglia, dei propri amici, la propria casa e percorrere chilometri, a piedi e poi affrontare l’attraversamento del mare. Quando queste persone si imbarcano, sanno che in particolare questo attraversamento è pieno di pericoli concreti. Tutti abbiamo negli occhi le immagini di questi barconi insicuri, vetusti (le chiamano le carrette del mare), stracolmi. Eppure queste persone partono, consapevoli di cosa si lasciano alle spalle, da che cosa fuggono e vengono (o cercano di venire in Europa) pieni di speranza per un futuro migliore, dignitoso per sé e per le proprie famiglie. La capacità di accogliere, di aprire la porta ed il cuore ad altri uomini e donne in difficoltà è scritto nel profondo della natura umana, nasce dal sentire la comune appartenenza al genere umano.

Ma l’accoglienza che si esprime con il soccorso immediato, con le operazioni umanitarie (fornire ai profughi mezzi di sussistenza ed un riparo), richiede di trasformarsi in qualcosa di più duraturo ed impegnativo: fare spazio accanto a sé e condividere. Questo passaggio non è semplice e scontato, pone domande importanti, profonde. Certamente sono utili le decisioni a livello politico, il destinare risorse, l’organizzarsi, il dotarsi di mezzi e strumenti ad hoc, ma se questo «fare spazio accanto a sé e condividere» non diviene parte di noi stessi (sia dei riceventi sia dei profughi), allora si avranno nuove più gravi tensioni, nuove lotte, nuovo sangue verrà versato. Ci viene chiesto un cambiamento culturale ed epocale. Un cambiamento che non è rinuncia alla nostra storia, alle nostre tradizioni, al nostro modo di vivere, ma è certamente attenzione, comprensione e convivenza serena, pacifica con persone con un'altra storia, altre tradizioni e un altro modo di vivere. Non è solo tolleranza, è di più, è accoglienza, è condividere il nostro benessere con chi dignità e benessere è venuto a cercare.

La vicenda storica della Sicilia si pone come esempio luminoso di cosa può essere. La Sicilia di oggi è il risultato del mescolarsi (per il vero non sempre pacifico) di popoli diversi. Siculi, greci, fenici, cartaginesi, romani, normanni, arabi, spagnoli, ecc. Le tracce della fusione in questo crogiuolo di civiltà e di culture è ancora evidente e dà forte testimonianza che è possibile.

Allora come ora, un ruolo fondamentale può essere svolto dagli intellettuali per incoraggiare, sostenere, accompagnare, motivare il cambiamento che rende possibile la fusione. Ci sono alcuni punti sui quali occorre fare un percorso squisitamente culturale, necessari perché anche questo nuovo evento sia occasione di crescita e non di scontro. Eccone alcuni, non in ordine di importanza: Mettersi in ascolto reciproco per rispettarsi e per comprendersi;  Credere che il dialogo e l’affrontare insieme i problemi, anche quelli più difficili, è l’unica via. La sopraffazione e l’egoismo non solo non sono una soluzione ma sono le premesse della distruzione; Disegnare insieme un nuovo patto di convivenza che, partendo dai valori di base (quelli sanciti nella carta dei diritti dell’uomo, della donna e della infanzia ma anche nelle carte costituzionali)  e da un insieme di regole condivise, segni la via di una convivenza pacifica e costruttiva; Usare una stessa lingua, strumento indispensabile per comunicare, ma anche elemento essenziale per la cittadinanza. Questo è un passo delicato perché da un lato occorre poter continuare ad usare la propria lingua, d’altro lato occorre evitare il pericolo che la scelta di una lingua comune comporti l’identificazione di una cultura dominante rispetto alle altre. Delineare dei percorsi al termine dei quali potrà venire riconosciuta la piena cittadinanza formale.

Affermare che il diverso credo religioso non è ostacolo, non porta allo scontro, non può essere motivo di violenza, ma, nel reciproco rispetto, ci orienta alla pace ed alla fraterna convivenza. Tanti sono gli esempi e le testimonianza che si potrebbero portare, vorrei limitarmi a ricordare gli incontri ecumenici di Assisi, ma anche le tante volte in cui parti in scontro hanno accettato di sedere allo stesso tavolo per negoziare un futuro di convivenza pacifica.

Da sempre gli intellettuali, in particolare gli uomini di scienza e di cultura, che fanno ricerca ed insegnano nelle Università, sono stati capaci di andare oltre i confini, di costruire ponti, di dialogare, di vivere una compagnia (lo stare insieme). Di grande evidenza è, per esempio, il ruolo vissuto nella seconda metà del 1900 nel mantenere aperte le comunicazioni fra i blocchi europei, attraverso la “cortina di ferro”. Di fatto hanno dimostrato e dimostrano che esistono legami, essenzialmente umani, che sono più forti delle ideologie e dei diversi credi politici e religiosi. La nostra Accademia, per la sua stessa natura di essere multiculturale, multietnica e mediterranea, può essere un luogo fondamentale. La storia oggi ci pone domande difficili. Personalmente sono convinto che possiamo aiutarci tutti a rispondere «sì, è possibile».

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