Investire oggi a Torino, negozi e non solo

Il commercio nel cuore della città assediate dai centri commerciali, un patrimonio da salvaguardare

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Investire oggi a Torino, negozi e non solo

In questi giorni abbiamo saputo dell’ennesima,  probabile,  chiusura di un altro negozio in centro,  stavolta  si tratta di Coin, in via Lagrange, dove si trovava da alcuni decenni. Oltre alle preoccupazioni occupazionali, che speriamo si risolvano con l’assorbimento del personale in altri punti vendita del gruppo, prendiamo atto che gli affitti del centro diventano sempre più esorbitanti per chi non appartiene a grandi gruppi internazionali. I centri storici delle grandi città del mondo si assomigliano sempre di più:  un turista distratto può non rendersi conto di dove si trova. A Praga, come a Parigi, a Torino come a San Paolo del Brasile,…. vetrine sempre uguali si susseguono nelle strade commercialmente più importanti. Omologazione  di massa, estinzione di antiche tradizioni.

Ma, accanto ad una notizia negativa, ci piace segnalarne una positiva: lo stesso giorno della notizia della chiusura di Coin, c’è stata l’inaugurazione del nuovo punto vendita di  Stone Island, in piazza San Carlo. Dove sta la positività? Uno  chiude, un altro apre,… No,la questione è un’ altra, ma occorre prima  precisare che questa non è  una pubblicità occulta (è un marchio abbigliamento casual solo maschile, estremamente  tecnologico e di alto livello, che  non utilizza canali pubblicitari come il nostro giornale).

Stone Island era uno dei marchi che appartenevano al Gft (Gruppo Finanziario Tessile), insieme ai più noti e popolari Facis, Cori, Marus, ecc. che, fino agli inizi degli anni ’90, dava lavoro ad oltre 5.000 persone tra Torino, Settimo, Racconigi, San Damiano d’ Asti (tralasciando Cina, Stati Uniti e Messico,…). Appartenevano tutti alla famiglia Rivetti (lanieri biellesi prima e industriali torinesi dell’abito confezionato, poi). Per un concorso di circostanze, che qui non possiamo raccontare, le aziende passarono di mano in mano e diventarono uno spezzatino, ma – e questo è il punto positivo- questo marchio, tornato in mano ai Rivetti da qualche anno, riprende ad investire a Torino, dopo decenni. Certo i numeri (fatturato e persone impiegate) non sono più quelli di una volta, ma è un buon segno di capitali (e forza lavoro) che tornato ad essere impiegati in città. Gli ex dipendenti del Gft,  presenti in buon numero all’inaugurazione del negozio, si sentivano gratificati, perché riconoscevano il rientro a casa di un pezzo della loro storia (a pochi isolati dal rogo che distrusse il negozio Marus di via Roma, negli anni ’60).

In quegli stessi locali di una piazza San Carlo, non pubblicamente illuminata a sufficienza,  poi, agli inizi degli anni ’80, nello scantinato ora riutilizzato da questo marchio, ci fu il primo punto vendita - al mondo- interamente dedicato ai capi di Armani (all’epoca altra firma del Gft, insieme a Valentino ed altri ancora), allora solo stilista, ma che di lì iniziò la sua ascesa imprenditoriale: corsi e ricorsi.

Ma non è ancora finita qui: quella sera c’erano anche Ventura ed alcuni giocatori del Toro. Non a caso, perché il nonno materno del patron Carlo Rivetti era il conte Marone Cinzano, presidente dei due primi scudetti granata, alla fine degli anni ’20 (uno dei quali inspiegabilmente revocato), il dirigente che avviò la costruzione del mitico Filadelfia, del quale,  proprio quasi contestualmente, forse, si rivede finalmente un serio tentativo di recupero. Cosa fu il Fila per il Toro e per Torino è inutile dirlo.

Investire a Torino, ieri ed oggi: negozi, centri sportivi (fabbriche? grattacieli?) e quant’altro possa portare lavoro, in una città dalla grande storia e dalle piccole storie, forse poco conosciute, ma non meno importanti.

                                                                                             

                                                           

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