Giovani e lavoro, è l'ora dei progetti

Proposta: Chiesa e città, pubblico e privato, uniti per arginare la disoccupazione 

Parole chiave: lavoro (167), giovani (205), economia (65), progetti (12)
Giovani e lavoro, è l'ora dei progetti

In una serata della scorsa settimana, nell’oratorio di una parrocchia di una cittadina del Torinese, il locale Servizio per il lavoro, attivato un anno e mezzo fa dall’Unità Pastorale, ha promosso una serata di riflessione sul tema «Giovani e lavoro». Vi hanno preso parte, come relatori: l’assessore al Lavoro del Comune, un rappresentante dell’Ufficio pastorale Sociale e del lavoro dell’Arcidiocesi di Torino, un piccolo imprenditore, il presidente di una cooperativa sociale, il responsabile del Centro per l’impiego della Citta metropolitana. È stato presentato un quadro della situazione del mercato del lavoro e, al suo interno, del problema dell’occupazione per i giovani; un quadro dalla cornice variopinta, secondo le diverse prospettive ed esperienze; un quadro appeso all’immancabile ipotetica rete di operatori del settore.

A parte il riferimento al Progetto giovani e lavoro attivato dal predetto Servizio per il lavoro, riferito ai cosiddetti «Neets» - meglio «Neets» che «Neet», Not (engaged) in education, employment and training, poiché non sono da dimenticare i Not in searching che, anzi, sono i più distanti dal lavoro poiché non stanno nemmeno cercando un’occupazione - è mancata la presentazione di specifi ci progetti che possano essere messi in cantiere e attivati. Nella sala in cui s’è tenuto l’evento in parola, era stato predisposto uno spazio per attaccare post-it, con due sezioni: «domande» e «proposte»; la prima ne aveva raccolte alcune; la seconda è rimasta vuota. Questo fa venire in mente che, dell’invito continuo e pressante «a uscire» che Papa Francesco fa alla Chiesa, e in particolare ai fedeli laici, si è presa la via dell’«uscire per guardare» piuttosto che dell’«uscire per operare».

Eppure noi torinesi abbiamo avuto fulgidi esempi (don Bosco per tutti) di cristiani che non si sono limitati a far da osservatore, ma che sono intervenuti con lo spirito dell’esploratore, proponendo iniziative e attività. A proposito, è positivo che, nella fase attuale dell’Agorà del sociale, si sia passati da un’ipotesi di Osservatorio a un’ipotesi di Laboratorio per il sociale. Ma quale progetto o quali progetti? Ve ne possono essere sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta di lavoro. Dal lato della domanda, ho detto che alla serata in parola era presente anche il mondo delle cooperative sociali, e allora perché non progetti per l’erogazione di servizi alle persone e al territorio, realizzati nella maniera virtuosa propria di queste cooperative  che portino alla necessità di creare nuovi posti di lavoro? E in questi progetti, l’Amministrazione comunale potrebbe apportare il suo contributo, poiché è il soggetto che meglio conosce le esigenze della comunità, persone e territorio.

Dal lato dell’offerta, riconosciuta da tutti è stata la necessità di operare per migliorare l’occupabilità dei giovani e quindi ineluttabile è il miglioramento della qualità lavorativa degli stessi, attraverso processi di formazione professionale e, allora, Amministrazione comunale, Centro per l’impiego, scuole di formazione, associazioni datoriali e sindacati dei lavoratori non potrebbero forse impegnarsi per mettere in piedi, da un lato, un’attività di orientamento al lavoro per i giovani e, dall’altro lato, gestire un ampio progetto mirato a colmare il vuoto di formazione professionale che sovente i giovani presentano? A questo punto, immancabile è la domanda: «Con quali soldi si può fare tutto ciò che è stato sopra descritto?».

La risposta non è poi così difficile. In parte, con risorse proprie delle famiglie dei giovani che entrano nei progetti, ricordando che vale sempre l’adagio che «nessun pasto è gratis e non deve quindi essere considerato come gratis dai beneficiari», anche perché se è gratis è facile che sia buttato. In parte, con risorse devolute da soggetti privati e pubblici che hanno come missione l’intervento nel campo sociale. In parte, con iniziative di crowdfunding, cioè di finanziamento collettivo (in denaro o in natura, compresa attività di volontariato): una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse reali e monetarie. L’operatività di quest’ultima via non dovrebbe essere presa come auspicabile, ma poco realistica. Si pensi all’esperienza del crowdfunding della Fondazione Telethon e di altre iniziative, anche di quelle che non ricorrono al potente mezzo della diffusione televisiva. Si pensi a quanto ho scritto tempo fa, sulle colonne di questo settimanale presentando un progetto incentrato sull’assunzione di giovani qualificati nella Pubblica amministrazione - al fine di ridurre il sottodimensionamento che il nostro Paese ha rispetto alla maggior parte delle economie a noi prossime, in termini di dipendenti pubblici rispetto alla popolazione presente - impegnando questi neoassunti in settori, quali sanità, giustizia, tutela e miglioramento del territorio, messa in sicurezza del patrimonio abitativo, salvaguardia del patrimonio culturale…; servizi pubblici rilevanti per il benessere sociale e per il funzionamento dell’economia.

«Gli estensori del progetto (che prevede il finanziamento attraverso un’imposta temporanea e con aliquota assai bassa sui patrimoni finanziarsi, ndr) si sono premurati di compiere un’indagine campionaria (scientifi camente robusta) dalla quale è risultata un’ampia maggioranza di persone (circa il 70 per cento) che hanno risposto ‘sì’ alla domanda: ‘Sarebbe favorevole all’introduzione di un’imposta temporanea sul proprio patrimonio fi nanziario al fine di finanziare l’assunzione a tempo indeterminato, nella Pubblica amministrazione, nei settori di primaria rilevanza sociale e con carenza di personale, di giovani disoccupati o in cerca di prima occupazione?’. (…) Il dramma dell’elevata disoccupazione giovanile è talmente forte da affievolire i conati di grezzo egoismo!» Non varrebbe lo stesso, anzi ancor di più, nei riguardi di progetti di formazione specifica e mirata per creare occupabilità per i nostri giovani «Neets»? E le considerazione or  ora fatte non potrebbero forse essere utili per il Laboratorio per l’Agorà del sociale? 

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