Ius soli, Ius culturae, una scelta di dignità e civiltà

Centinaia di migliaia i ragazzi nati in Italia da genitori immigrati. Chiesa mobilitata, appelli anche a Torino per il riconoscimento della cittadinanza. Senza giovani salta il sistema previdenziale. Scrive Massimo Tarasco, presidente Acli 

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Ius soli, Ius culturae, una scelta di dignità e civiltà

Di fronte al dibattitto politico di questi giorni sullo Ius soli non si può che rimanere attoniti per la superficialità degli argomenti e per la volgarità delle battute e degli slogan che, troppo spesso, sentiamo pronunciare da leader e rappresentanti delle istituzioni. Gli attacchi a Papa Francesco e alla Chiesa cattolica, alle associazioni laiche e cattoliche che stanno raccogliendo le firme per sostenere il riconoscimento della cittadinanza ai nati da genitori immigrati e, in generale, verso tutti coloro che si stanno spendendo a favore di un diritto così elementare sono indice di una pericolosa degenerazione etica che dovrebbe preoccupare davvero tutti.

Purtroppo, però, la questione non si può ridurre alla incultura politica di qualcuno. Questo atteggiamento diviene calcolo politico e strumentalità perché si lega ad un crescente sentimento popolare di paura e di diffidenza verso lo straniero che si diffonde nelle nostre comunità. La crisi economica, la povertà crescente, l’insicurezza e l’angoscia di molte famiglie nei confronti del proprio futuro, la complessità sociale e le tante contraddizioni e difficoltà della nostra vita moderna (comprese le tensioni internazionali e la minaccia terroristica), hanno reso più fragile il tessuto di coesione e di solidarietà che lega le persone. È sotto gli occhi di tutti il crescere di una paura collettiva diffusa: una paura generica, quasi informe, sulla quale è facile innestare un ‘nemico’ che può dargli concretezza. La questione dei migranti e dei rifugiati rappresenta oggi, purtroppo, la concretizzazione di paure e angosce che nulla, o poco, hanno a che fare con il fenomeno in sé.

Va detto che, lentamente, grazie soprattutto alle tante esperienze positive di cittadinanza attiva, di integrazione e di solidarietà, al ruolo fattivo della Chiesa, della Caritas, di diverse realtà associative e di alcune istituzioni, la nostra società sta sviluppando anche dei potenti anticorpi. Le tante iniziative e progettualità sul territorio dirette a promuovere integrazione servono innanzitutto a rendere concreto e visibile il vantaggio e la ricchezza di una società plurale e aperta. Ricchezza che si manifesta sempre più forte proprio nell’esperienza quotidiana dei nostri figli. Soprattutto a scuola e nelle loro relazioni amicali, la presenza di relazioni multiculturali si fa sempre più forte e solida. Sono i nostri ragazzi, quelli italiani dalla nascita, che ci chiedono, sempre più insistentemente, per quale motivo gli adulti permettono che i loro amici e compagni di vita, con i quali stanno condividendo l’avventura dell’infanzia e della giovinezza, debbano essere discriminati. Ma cosa dobbiamo fare quindi? Come affrontare questa situazione come cristiani e come laici impegnati?

La prima questione, a mio parere, è non fermarsi solo alla sottolineatura etica e di principio, seppur fondamentale. Non c’è ombra di dubbio che, come cittadini, come democratici e, soprattutto come cristiani, il diritto umano alla dignità e alla parità dei diritti non può che essere il valore di riferimento nel giudicare. Lo dice con chiarezza Papa Francesco: «Nel rispetto del diritto universale a una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».

Vi è però il dovere, tutto laico, di entrare nel merito della questione e di affrontarla anche con razionalità e pragmatismo. Un pragmatismo da esercitare non con l’intento di arrivare a qualche compromesso (ricordiamo che la legge in discussione in Parlamento è molto edulcorata rispetto al reale bisogno di cittadinanza), ma con l’obiettivo di con-vincere anche coloro che la pensano diversamente oppure sono indifferenti.

Infatti, per fare fronte alla situazione demografica, lo Ius soli non è lusso, ma una vera necessità. Al di là delle parole, non è una questione ideologica, ma può rappresentare una pura e semplice questione di interesse nazionale. Basta fare due conti. l’Italia, come l’Europa in generale, si sta svuotando. Pochi sanno, come scrive da tempo Nicola Cacace, che l’Italia con le attuali politiche di denatalità e ostacoli all’immigrazione sarà un Paese fantasma tra qualche decennio.

Gli espertidi previdenza si sono messi lì con la calcolatrice e hanno già tirato le somme. Di questo passo la percentuale di pensionati rispetto ai lavoratori, che oggi è del 37 per cento, passerà al 65 nel 2040, quando i due terzi più anziani della popolazione si aspetteranno l’assegno mensile dal residuo terzo più giovane. Il sistema previdenziale futuro è fortemente a rischio di tenuta. Ma una possibilità concreta immediata esiste. Da questo punto di vista, infatti, cosa ci potrebbe essere di meglio dei 634.592 minori nati in Italia da madre straniera dopo il 1999, che potrebbero diventare italiani attraverso lo Ius soli temperato, oppure dei 166.008 ragazzi stranieri che hanno completato almeno un ciclo quinquennale di studi in Italia (Ius culturae)?

Ma c’è un elemento in più. In natura (come in politica) il vuoto non esiste. Un’Italia vuota in un’Europa vuota ma ancora ricca continuerebbe ad attrarre i flussi migratori di una Regione travagliata e piena di giovani come il Medio Oriente oppure di un continente ancor più pieno di giovani come l’Africa. Perché poi, dopo tanti eccessivi sproloqui sulla solidarietà, l’identità nazionale, su «prima gli italiani» e le «nostre radici», siamo riusciti a creare un sistema che produce, in massimo grado, perdita d’identità e sradicamento. Le donne italiane vorrebbero fare figli ma rimandano e rimandano perché la conciliazione maternità–lavoro è un’impresa e chissà se ci si riesce con uno stipendio solo. E quelle che fanno i figli, in questo Paese poi devono acconciarsi a vederli macerare nella disoccupazione o emigrazione verso Paesi dove ai giovani qualcuno tiene davvero. Altro che «italiani prima»! Le seconde generazioni degli immigrati in Italia sono «dinamiche e integrate». Oltre il 63 per cento è inserito nel mercato del lavoro. È quanto emerge dal focus «Le seconde generazioni in Italia: integrate e dinamiche» presentate recentemente nella ricerca dell’Iref (Istituto di ricerca delle Acli nazionali). Nel nostro Paese vivono 800 mila ragazzi di seconda e, ormai, anche di terza generazione. Sono italiani di fatto, purtroppo non di diritto.

Le ultime elezioni svoltesi in Germania, come anche in Austria, con la vittoria della destra e la presenza allarmante di diversi deputati xenofobi che entrano in Parlamento, rischiano ulteriormente di influenzare il percorso di approvazione dello Ius soli nel nostro Paese, per la preoccupazione, trasversale purtroppo a diverse forze politiche, che questo possa procurare perdita di consenso nelle prossime elezioni. La differenza è che la Germania ha da tempo maturato la consapevolezza della ‘bomba demografica’ e, da Kohl alla Merkel, hanno costantemente investito su politiche migratorie aperte e sulle politiche per la famiglia.

Proprio per questa debolezza tutta italiana, le Acli, insieme a tante altre associazioni laiche e cattoliche, hanno promosso in tutto il Paese la raccolta di firme per la proposta di Legge di iniziativa popolare denominata «Ero straniero». Una raccolta di firme ovviamente complementare al disegno di legge Ius soli in discussione in Parlamento, ma con in più l’obiettivo di portare la discussione fra la gente nei territori, nelle comunità e nei diversi ambienti di vita, per contribuire a superare gli stereotipi e l’indifferenza. Le Acli pertanto ribadiscono quanto sia indispensabile e urgente una riforma della cittadinanza, a partire dall’approvazione immediata dello Ius soli. Una decisione contraria sarebbe uno storico errore di miopia, che faremmo pagare in particolare alle generazioni future.

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