Heysel, il comune dolore che unì le città di Liverpool e Torino

Il racconto della drammatica notte di Bruxelles e gli spiragli di umanità nella chiesa subalpina della metà degli anni Ottanta. Un incontro di riconciliazione e preghiera nel giugno 1985 con il cardinale Ballestrero, l'opera di mons. Peradotto e  la presenza in città dell’ar­civescovo cattolico mons. Derek Worlock, il vescovo anglicano David Sheppard

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Heysel, il comune dolore che unì le città di Liverpool e Torino

«Poche ore dopo la tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles, da Liverpool cercarono l’arcivescovo cardinale Anastasio Alberto Ballestrero. Essendo a Roma per l'assemblea della Cei (della quale era presidente 1979-1986 n.d.r.), i contatti con Torino vennero avviati con il vicario generale. Le telefonate furono parecchie per esprimere, a nome nella comunità di Liver­pool, l'amarezza per i1 doloroso episodio».

Con lo scrupolo del cronista di vaglia, mons. Franco Peradotto, vicario generale, raccontò il retroscena dello straordinario «incontro di riconciliazione» a Tori­no, dove il 18 giugno 1985 giunse una delegazione di Liverpool dopo la sciagurata notte dell'Heysel, dove 30 anni fa, la sera del 29 maggio 1985, si disputò la finale di Coppa Cam­pioni tra Juventus e Liverpool e dove centinaia di tifosi inglesi ubriachi diedero l'assalto al settore dove erano asserragliati gli italiani. Una carneficina: 39 morti di cui 31 italiani, un in­glese, belgi e di varie nazio­nalità.

La delegazione di Liverpool era composta da 29 persone: amministratori della città; deputati laburisci, conservatori, liberali; responsabili delle due squadre di calcio Liverpool ed Everton; rappresentanti delle tifoserie; l’ar­civescovo cattolico mons. Derek Worlock, il vescovo anglicano David Sheppard. Era stato Worlock al­l'inizio di giugno a muovere i pri­mi passi e trovò grande disponibilità in Peradotto: «La prima telefonata, a nome dei tre vescovi ausiliari, per dirci che a Liverpool si stava predisponendo una celebrazione di suffragio».

Si realizzò così l’«incontro di pacificazione». «Non possiamo riparare il male che è stato fatto ma cominciamo a costruire un ponte di solidarietà e di pace tra Liverpool e Torino» disse appena sbarcato a Caselle, Hugh Dalton, presidente del Consiglio comunale. Aggiunse l’anglica­no Sheppard: «Vogliamo condividere con la gente di Torino il nostro dolore. Abbiamo provato un grande senso di partecipazione al dolore degli italiani». Per mons. Worlock «è un'occa­sione per incontrare la gente di Torino e per ribadire la comune volontà di opporci con tutte le forze a ogni forma di vio­lenza, specie negli stadi».

La de­legazione fu ricevuta a Palazzo di Città. Nella Sala Rossa i discorsi di condanna della violenza dei tifosi che, ubriachi di birra e di fanatismo, provoca­rono l'immane tragedia, come disse il sindaco di Torino Giorgio Cardetti: «Il massacro ha visto il prevalere della volgarità e della stupidità in una situazione in cui nulla è rimasto del senso dell'agonismo sportivo come affermazio­ne di abilità e bellezza, di eleganza e stile. La vera Liverpool siete voi che rendete omaggio alle vittime e chiedete scusa».

Nobile il saluto del presidente del Consiglio comunale Dalton: «È difficile descrivere il senso di desolazione e dolore che pervade gli animi in ogni strato della nostra comunità». Elevato l'intervento di Worlock: «Veniamo in spirito di fratellanza a esprimere il nostro rammarico per il coinvolgimento dei nostri concittadini nella morte dei vostri concittadini».

La sera della tragedia le due Cattedrali, cattolica e anglicana, «si riempirono di migliaia di persone in lacrime e preghiera». Mons. Peradotto parlò di «cor­aggioso e generoso gesto di fraternità e di serenità» e insistette «sulla necessità di educare i giovani a un sano modo di intendere e vivere l’agonismo sportivo e il sostegno alla squadra del cuore».

Uno dei momenti più commoventi fu quando Dalton, lasciando i fogli del discorso, si rivolse alla vedo­va di Gioacchino Landini, uno dei tifosi juventini periti. La donna pian­geva nei ban­chi del Consiglio comunale, accanto a un congiunto e al vicario generale Peradotto: «Signora Landini, niente può cancellare i fatti di quella sera. Purtroppo non possiamo restituire la vita a suo marito. Noi di Liverpool siamo a Torino per offrire la nostra amicizia. Questo era il modo miglio­re per esprimere sentimenti di tristezza, di cordoglio, di me­stizia da allargare a tutti colo­ro che hanno sofferto per i morti e i feriti». La signora rappresentava le 32 famiglie italiane che avevano perso un congiunto.

Dopo la cerimo­nia un uomo e una ragazza abbracciarono, sullo scalo­ne del palazzo comunale, John Welsh, al quale poco prima il sindaco Cardetti ave­va consegnato il sigillo, sim­bolo della città. L’uomo era Arnaldo Bonomi, giunto con la figlia da Rovigo per dire grazie a John al quale il tifo­so juventino doveva la vita. La sera del 29 maggio «ero schiacciato da tut­te le parti e tu hai tentato una prima vol­ta di tirarmi fuori. Non ci sei riuscito, ma non hai desistito e mi hai salvato al secondo ten­tativo, un attimo prima che fossi travolto dalla ca­duta del muro».

Poi gli incontri con la stampa e in Galleria San Federico, dove c’era la sede della Juventus. Il 19 giugno, vigilia della solennità della Conso­lata, patrona della diocesi,  l’incontro più popolare, perché aperto al popolo. Presiedettela Concelebrazionel’arcivescovo Worlock, che parlò italiano con simpatico accento inglese. Assistettero il cardinale Ballestrero e il vescovo anglicano Sheppard. Nell’omelia Worlock disse: «Questo incontro non è facile, ma porta molta consolazione. Siamo venuti a esprimere le condoglianze per i morti e gli auguri ai feriti e siamo felici di incontrarvi nel santuario della Patrona. La nostra speranza è che dalla sciagura di Bruxelles possa nascere un insegnamento di carità, speranza, im­pegno contro la violenza, riconciliazione e pace». Ballestrero disse poche parole: «Questo mo­mento ha bisogno di silenzio per fare spazio alla grazia del Signore nel cuore dell'uomo». Commentò l’arcivescovo cattolico Worlock: «Ci avevano detto che Torino è una città fredda. Invece abbiamo trovato un grande calo­re che ha facilitato la missione di riconciliazione. Torino è magni­fica».

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