Vescovi europei, l'economia giusta parte dal commercio

La posizione dell'episcopato europeo sul  "Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti" che regola gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Commissione europea 

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Vescovi europei, l'economia giusta parte dal commercio

I vescovi europei, che fanno parte della Commissione degli episcopati della comunità Europa (COMECE) hanno deciso di preparare un documento indirizzato agli eurodeputati, sul Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip), quel trattato per il libero scambio in fase di negoziazione tra gli Stati Uniti e la Commissione europea che desta non poche perplessità e una serie di preoccupazioni, se non altro per la scarsa trasparenza che hanno avvolto i quasi due anni di negoziati.

Proprio al tema del Ttip l’assemblea plenaria della Comece, il 13-15 novembre scorso a Bruxelles ha dedicato la maggior parte del suo tempo, ospitando tra l’altro il capo negoziatore dell’UE, il rappresentante USA presso l’UE e una serie di esperti in ambito economico e di etica degli affari. Dalla sintesi dei lavori della plenaria Comece, si comprende che aldilà delle questioni tecniche, strettamente attinenti al commercio, il documento che i vescovi stanno scrivendo, conterrà “i loro dubbi e perplessità”, concentrandosi sulle “domande che il TTIP pone alla nostra identità, alla nostra specificità europea e al modo in cui questa identità può essere affermata e collocarsi nel panorama mondiale”.  Il TTIP, secondo i vescovi è comunque l’occasione per “i cittadini europei di definire più chiaramente la loro posizione sulla scena mondiale e adottare politiche commerciali e monetarie sostenibili per i prossimi decenni, che si prevede mostreranno una crescita economica bassa o addirittura nulla”. Una perplessità che certamente troverà spazio nel documento Comece muoverà dall’imperativo che la Chiesa sente – ancora più fortemente ora con papa Francesco - di parlare per i più deboli e dei più poveri in Europa e nel mondo, cercando di valutare il Ttip alla luce delle “ricadute che avrà su di loro questo accordo di libero scambio”.

Già il 10 giugno scorso, all’incontro annuale tra istituzioni Ue e leader delle comunità religiose, il presidente Comece, il cardinale tedesco Reinhard Marx, riferendosi al Ttip aveva puntualizzato che “il libero scambio comporta sempre la possibilità di una maggiore prosperità, ed è quindi cosa buona”, ma aveva anche sollecitato a promuovere con questo accordo “norme chiare, eticamente fondate” nell’economia globale, rendendo così l’accordo “non solo un’opportunità ma una responsabilità speciale”. E aveva provocatoriamente domandato: l’accordo “servirà il bene comune?”. Ne trarranno beneficio solo le nazioni ricche, che porteranno a casa ancora maggiori vantaggi, a scapito dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, o “si riuscirà con il libero scambio a creare benefici anche per i più vulnerabili del mondo?”. Da quel poco materiale disponibile sui siti istituzionali dell’UE non si ha la sensazione che nelle sette sessioni negoziali condotte fino ad ora le preoccupazioni dei vescovi europei abbiano avuto posto e certamente la loro sarà una voce fuori dal coro delle potenti lobby industriali che già pregustano le allettanti possibilità di arricchimento che per loro si apriranno con la liberalizzazione dello scambio con gli USA. In realtà parrebbe che i negoziati stiano per giungere a conclusione (fine 2014?); dopo di che il Ttip sarà sottoposto a voto del Consiglio europeo e poi a ratifica del Parlamento europeo. Bisogna che i vescovi scrivano il loro documento in fretta e in maniera incisiva se vogliono arrivare in tempo.

Economia

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