Ventotene si riparte da tre

L'Europa in disagio deve ripartire dai padri

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Ventotene si riparte da tre

 

A volte, in politica, simboli e parole possono servire. Fu certamente il caso a Ventotene, dove Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 lavorarono alla stesura del “Manifesto” federalista europeo: era forte il simbolo di quell’isola, dove esiliati dal fascismo, nel buio della guerra, intravvidero la luce in un’Europa libera e democratica ed erano audaci e profetiche le parole del progetto federale, proposto a nazioni europee in guerra fra di loro.

E’ presto per dire se qualcosa di simile si potrà dire per l’incontro di questa settimana a Ventotene di Matteo Renzi con Angela Merkel e François Hollande.

Il simbolo dell’isola è stato in parte oscurato dalla scelta, dettata non solo da motivi di sicurezza, di tenere il Vertice sulla portaerei Garibaldi, una nave da guerra, per ora utilizzata solo in missioni di sicurezza e umanitarie nel Mediterraneo.

Le parole pronunciate dai tre leader sono state a tratti coraggiose, senza essere audaci nel rilanciare il progetto europeo dopo Brexit, evitando accuratamente di parlare di un’Europa federale e con un occhio attento alle scadenze elettorali di ciascuno.

Tutto è ruotato attorno al numero “tre”. Tre leader dei tre principali Paesi UE, dopo la scelta della Gran Bretagna (forse) di andarsene, confrontati a tre crisi che si avvitano l’una sull’altra: quella economica e sociale dalla quale continuiamo a non uscire, quella delle migrazioni che affrontiamo in ordine sparso e quella della sicurezza, minacciata da guerre ai nostri confini e dal terrorismo in casa nostra.

Tre anche le principali proposte emerse dall’incontro di Ventotene: un impegno per la crescita, rafforzando gli investimenti, in particolare nella cultura e per i giovani, ma senza mettere a rischio la stabilità finanziaria, una maggiore attenzione all’area sud dell’UE e alla vicina Africa, coinvolte insieme nei flussi migratori da gestire a livello europeo e la creazione di una guardia costiera europea per vigilare su frontiere finalmente considerate comuni.

Nulla di rivoluzionario, in una stagione dell’Europa che pure di un balzo in avanti avrebbe bisogno anche se i nostri politici sono convinti che i tempi grami che viviamo non lo consentano. Troppe le scadenze elettorali a rischio, a cominciare da quelle dei prossimi giorni nel Laender tedeschi per continuare con il referendum costituzionale in Italia e, l’anno prossimo in primavera, le elezioni politiche in Olanda e presidenziali in Francia e quelle in autunno per la Cancelleria in Germania. Senza dimenticare il contorno di altre possibili turbolenze nazionali, già a inizio ottobre, con il referendum ungherese sui migranti e il ri-ballottaggio per la Presidenza austriaca, sempre sperando che in Spagna si riesca, dopo due tentativi elettorali, a comporre il governo.

Tutto questo per limitarci all’Unione Europea, mentre altre vicende importanti sono in corso al di fuori dell’UE: dal traccheggiamento britannico del dopo Brexit alle elezioni americane di novembre, mentre continuano i massacri in Siria e dintorni, con la Russia che torna a giocare un ruolo crescente e a premere sull’Ucraina e la NATO che vive in stato di allerta.

In uno scenario del genere non era proibito sognare un colpo di reni dei tre ospiti di Ventotene, ma senza dimenticare che la politica è spesso l’arte del possibile e che talvolta solo la disperazione – o l’audacia – riesce a trasformarla  nel coraggio dell’impossibile, come avvenne durante la guerra a Ventotene con Spinelli e Rossi e, a Cuneo, con Duccio Galimberti e il suo progetto di Costituzione europea mentre, non lontano di qui, Luigi Einaudi metteva in guardia, con parole allarmate, dal mito delle nazioni, all’origine delle guerre in Europa.

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