Unione Europea, per l'Italia non è ancora primavera

Le previsioni economiche per il nostro paese non sono positive

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Unione Europea, per l'Italia non è ancora primavera

 

Puntuali come le tasse sono arrivate anche quest’anno da Bruxelles le previsioni economiche di primavera, che all’Italia mandano a dire che la primavera per il nostro Paese non è ancora per domani.

Questo esercizio, a cui si dedica periodicamente la Commissione europea, è importante non solo perché offre una fotografia dell’andamento dell’economia nell’Unione Europea, ma anche perché serve da traccia, per Bruxelles e i governi nazionali, per valutare gli spazi di manovra consentiti alla futura politica di bilancio – tradotto per l’Italia vuol dire prossima finanziaria – nel quadro dei vincoli sottoscritti nei Trattati.

E’ confortante uno sguardo d’insieme allo stato di salute complessivo dell’Unione Europea, entrata ormai nel quinto anno di una ripresa che si annuncia costante. Per limitarci all’eurozona, l’economia cresce nel 2017 dell’1,7% e si prevede un miglioramento all’1,8% nel 2018. Anche un po’ meglio fa l’UE a 28 con un 1,9%, a fronte di una crescita mondiale (UE esclusa) del 3,7%, in netto aumento rispetto al 2016. Va quindi abbastanza bene nel mondo e non male nell’Unione Europea. Purtroppo va meno bene in Italia dove la crescita per il 2017 è ferma allo 0,9% e non farà molto meglio nel 2018, quando le previsioni indicano un modesto 1,1%, poco più della metà della crescita complessiva europea.

La musica non cambia se si guardano i dati sulla disoccupazione: in discesa nell’UE dall’8% del 2017 al 7,7% nel 2018: invece una riduzione di pochi decimali prevista per l’Italia, con un tasso di disoccupazione dell’11,5% nel 2017 e dell’11,3% nel 2018. Tra i principali Paesi UE fa peggio di noi solo la Spagna, mentre è sempre più lontana da noi la Germania, con una disoccupazione al 4%.

Potrebbero farci tirare un sospiro di sollievo i dati sul deficit annuale previsto per il 2017 a -2,2%, ma in aumento di un decimale per il 2018: qui facciamo meglio non solo della Spagna, ma anche della Francia e del Regno Unito. Se non fosse che ogni possibile vantaggio va in fumo davanti al macigno del debito pubblico che si conferma al 133% sul Prodotto interno lordo, rispetto al 60%  tendenziale pattuito nei Trattati.

Va ripetuto ancora una volta: è proprio il nostro enorme debito pubblico consolidatosi negli anni il principale nodo del problema-Italia, insieme con l’instabilità politica che ci ha zavorrati per anni e che non sembra destinata a finire in tempi brevi. E invece è proprio in tempi brevi che bisogna mettere mano a questi due problemi che si intrecciano tra di loro in un viluppo che rischia di soffocare il nostro futuro.

Non c’è nulla di più difficile che ridurre un debito di queste proporzioni in una situazione di instabilità politica, per di più alla vigilia di elezioni dagli esiti molto incerti. Da una parte incombono i vincoli del “fiscal compact” che, non a caso, il nostro governo spera di poter rivedere, magari contando su un’improbabile intesa con Emmanuel Macron, anche lui alle prese con una non facile situazione delle finanze e dell’economia francese. Intesa improbabile su questo punto perché Macron deve ricostruire una prioritaria intesa con Angela Merkel, probabile futura Cancelliera, che sull’alleggerimento delle regole finanziarie continua a non sentirci.

Dall’altra, l’Italia è alle prese con una vigilia elettorale, intrisa di veleni, che indurrà il governo a una politica di bilancio non certo più severa che in passato. Tutto questo, al momento, senza una legge elettorale che allontani il rischio di una precarietà politica che allarma non poco i nostri partner.

Da Bruxelles si guarda a tutto questo con una residua comprensione, ma anche con una crescente apprensione. E’ l’Italia il problema dell’Italia che sono in molti a temere possa diventare anche un problema per l’Unione Europea.

 

Franco Chittolina

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