Nelle banlieue con i giovani in cerca di riscatto

All'ottobre missionario l'intervento di Padre Livio Pegoraro, parroco di frontiera a Parigi. La galleria fotografica della serata

Parole chiave: banlieue (2), periferie (28), parigi (16), giovani (205), francia (38), religioni (31)
Nelle banlieue con i giovani in cerca di riscatto

 

Dopo circa trent’anni passati in Belgio a Charleroi Ville Basse, da circa tre anni è a Parigi, parroco a Saint Bernard de la Chapelle, banlieue della capitale francese, nel 18° arrondissement, padre Livio Pegoraro, scalabriniano, è stato a Torino il 13 ottobre «Testimone di frontiera»: primo ospite del ciclo di incontri «Nel nome della Misericordia» organizzati presso il Santuario di Santa Rita dall’Ufficio Missionario diocesano per l’ottobre missionario.

Padre Livio, da oltre 30 anni lei opera nelle banlieue luogo di immigrazione, di povertà, oggi spesso considerati «covi» per i terroristi: proprio a Charleroi è stata individuata una delle abitazioni usate dai terroristi che hanno agito a Parigi lo scorso novembre, cosa trasforma questi territori periferici in luoghi pericolosi?

Il mio quartiere a Parigi, chiamato la Goutte d’or, è uno degli ultimi bastioni popolari della città. Un quartiere che raccoglie la sofferenza che viene dall’emigrazione, e quella fascia di poveri che la speculazione edilizia spinge verso le periferie. È un quartiere cosmopolita, multietnico, ci sono moltissimi rifugiati: l’80% di quanti giungono a Parigi arrivano da noi. La nostra comunità offre vestiario, accoglienza notturna, corsi di francese. Capiamo la difficoltà di queste vite spogliate di tutto e devo dire che c’è fraternità, si crea una familiarità che non ti porta più a vedere nell’altro una persona appartenente ad una religione diversa, a un paese diverso. Eppure in questa familiarità si annida, si innesca la barbarie, l’orrore, il male. I terroristi sono conosciuti, gente del luogo. Ci si chiede: «Come è possibile?». Ma io non so dare risposte, constato solo che ci sono due aspetti che cozzano la familiarità del quotidiano e l’odio.

banlieues

In molti casi gli attentatori sono giovani, ragazzi cresciuti nelle periferie che si radicalizzano, perché?

Si cercano risposte semplici, chiare, io non so capire. Spesso i giovani sono i più sensibili all’esigenza, che percepisco sempre più forte nella nostra società, di avere un capo, un guru, un’autorità forte che li liberi dal ‘peso’ della libertà. Non sono solo i giovani islamici che si radicalizzano, c’è la marginalità, la fragilità psicologica che incidono, e anche la stessa immagine falsata che oggi ci arriva dell’islam ha un peso non indifferente sulle persone giovani e non, religiose o no. Non tutti coloro che sono fragili psicologicamente ammazzano, non tutti coloro che sono ai margini della società scelgono la via del terrorismo: non bisogna generalizzare. L’11 settembre 2001 avevo già amici marocchini e turchi a Charleroi e ravvisavo l’importanza di far nascere un gruppo interreligioso: per 10 anni ci siamo incontrati, confrontati, perché la cosa importante per rispettarsi è conoscersi. Dalle Torri Gemelle ad oggi si sono scritte biblioteche intere sull’islam: che chi dice che l’islam è solo un problema sociale, politico, e c’è chi dice che l’islam è solo radicalismo, mettendo nello stesso sacco un miliardo di persone. Si arriva così a dire che se l’1% della popolazione mondiale possiede il 50% delle ricchezza è colpa dell’islam, se il Medio Oriente è una polveriera è colpa dell’islam...

Le periferie spesso sono teatro di scontri e di rivolte, mentre in altri luoghi la gente scende in piazza per manifestare solidarietà...

Dopo il primo attentato a «Charlie Hebdo» tantissima gente è scesa in piazza, mentre dopo la strage del Bataclan non più così tanto, e dopo Nizza ancora meno: e siamo in un Paese dove la democrazia è forte. Ma viene da domandarsi: «Fino a dove si può arrivare?». Il rischio di andare verso la guerra civile c’è, e per questo è importante contrastare la paura, quella paura che io stesso percepisco talvolta quando prendo la metropolitana.

Come vincere la paura che porta anche a stigmatizzare alcuni luoghi dove la presenza immigrata è rilevante?

La mia esperienza mi dice che la cosa fondamentale è creare legami ed è quello che vivo ogni giorno nella mia comunità. La paura non deve diventare ciò che gestisce i rapporti con gli altri. Se pensiamo che ci sono luoghi nelle montagne, senza musulmani, dove si vota per Le Pen, si capisce come la paura si incrementi da sola, si genera quando l’altro è uno sconosciuto. Certo che gli immigrati sono fragili, ma è sempre stato così. Quando ero in Belgio, negli anni ’80 le prigioni erano piene di italiani immigrati, ma nessuno qui di noi penserebbe che gli italiani sono più criminali di altri. E poi bisogna anche cogliere le reali dimensioni dei problemi. Nei giorni scorsi hanno annunciato che vicino alla mia parrocchia verrà allestito un campo umanitario per i rifugiati che vivono per strada. Molti hanno protestato per la paura che questa soluzione abbassi il valore delle abitazioni del quartiere, ma io mi chiedo «come si può paragonare questo problema al fatto che centinaia di giovani hanno vissuto per arrivare fino da noi: hanno attraversato deserti, affrontato sequestri e violenze e ora hanno la possibilità di avere almeno una tenda per ripararsi dal freddo dell’inverno?». Oggi andare verso le periferie reali o esistenziali significa riconoscere la propria povertà per riconoscere la dignità dell’altro, riconoscere un centro che è il Vangelo di cui la Chiesa è mediatrice e testimone.

Attualità

archivio notizie

16/02/2018

La biblioteca personale di Carlo Donat-Cattin

La riunificazione di migliaia di volumi per continuare a studiare, vita, pensiero e azione politica del leader democratico cristiano in vista del centenario della nascita

16/02/2018

Meditazione sul Crocifisso

La riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta per il Venerdì Santo 2016. Perchè interrogarsi fino in fondo

16/02/2018

Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria

Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione 

16/02/2018

Milioni di volti

Negli sguardi dei più disperati e poveri l'amore di Gesù Cristo