La vergogna della barriera del Brennero. La Chiesa vuole integrazione e costruisce ponti

La presa di posizione delle Istituzioni ecclesiali, le associazioni e la società civile

Parole chiave: brennero (1), umanità (8), immigrazione (42), profughi (55)
La vergogna della barriera del Brennero. La Chiesa vuole integrazione e costruisce ponti

Raggela il sangue vedere le immagini degli operai che al Brennero hanno iniziato i lavori per la costruzione di una barriera anti-migranti. Questo genere d’immagini che sembravano definitivamente cancellate nel 1989 tornano spesso ultimamente: prima il filo spinato al confine tra Ungheria e Serbia; poi è stata la volta del filo spinato lungo i 90 km di confine tra Lettonia e la Russia, per proteggere il confine orientale dell’Europa (anche se di questo in Italia non ce ne siamo tanto accorti). Ora le rivediamo al Brennero, un versione soft perché il governo austriaco ha promesso non farà uso del filo spinato. La libera circolazione delle persone e delle merci di cui l’Ue si è a lungo vantata è stata sbriciolata in pochissimi mesi. I lavori al Brennero sono la testimonianza più evidente di un irrigidimento delle politiche austriache in materia di immigrazione, portate avanti dalla ministra degli interni uscente Johanna Mikl-Leitner, che ha reso anche il ricongiungimento familiare più difficile e ha irrigidito i criteri per concedere lo status di asilo, in nome di una reale, ma male affrontata “emergenza immigrazione”. Appellarsi all’emergenza suona come una presa in giro, proprio nei giorni in cui cade il 5° compleanno della guerra in Siria: tutto questo era stato annunciato, era prevedibile, sarebbe stato affrontabile (ed evitabile?) con altri impegni dell’Ue sul piano internazionale. 

Non si è mai voluta prendere sul serio questa emergenza, si è fatto finta di non vederne la drammaticità, ma lei è arrivata sullo zerbino di casa nostra. Ora si continua a non volerla vedere, come se inasprire le misure o fare barriere servisse a risolvere il problema drammatico di questa gente che ha perduto tutto. Serve solo al populismo che un po’ in tutta l’Europa sta cavalcando alla grande la situazione e miete voti. Misure simili a quelle dell’Austria infatti ha introdotto la Danimarca a gennaio e ha proposto il governo finlandese al parlamento il 7 aprile scorso. In Finlandia i responsabili delle Chiese hanno subito preso posizione contro queste proposte, denunciandole come violazioni dei diritti umani e invocando “la regola d'oro, inscritta nel cuore di ogni persona, che spinge a trattare gli altri nel modo in cui si vorrebbe essere trattati”. Anche in Austria Chiese e associazioni d’ispirazione religiosa, che fin dalla prima ora si sono fatte in quattro per garantire un’accoglienza dignitosa ai migranti, si sono scagliate contro la linea seguita dal governo. Diverse associazioni umanitarie austriache, tra cui Caritas , Croce Rossa e Diakonie, non hanno esitato a stigmatizzare queste misure come “eliminazione di fatto del diritto di asilo in Austria”.

 Con sempre maggiore incredulità e insistenza si sono ripetuti in queste settimane appelli e dichiarazioni contro questo modo di risolvere il problema: “Non si può lasciare a se stessi con un simile peso stati membri dell’UE del sud Europa , in particolare Italia e Grecia”, ha dichiarato il Consiglio ecumenico delle Chiese austriache. “Il progetto europeo regge o crolla se i problemi sono risolti nella collaborazione tra le parti coinvolte; percorsi intrapresi da singoli paesi o gruppi di paesi sono ingannevoli”. La stessa cosa, dall’altra parte del confine, ha scritto il vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Ivo Muser,  in una dichiarazione pubblicata sul sito della diocesi il 13 aprile: “O affrontiamo questa sfida in modo comunitario, come una questione europea, oppure siamo destinati a fallire”. E ancora scrive il Vescovo: “Barriere, interessi  delle singole nazioni, la differenza tra noi e gli altri, tra i locali e gli stranieri, tutto questo suscita timori e costruisce steccati nelle nostre teste e nei nostri cuori”.

Solo con un mutato atteggiamento delle menti e dei cuori e la consapevolezza che questi migranti sono nostri fratelli che hanno bisogno del nostro aiuto”, potranno essere trovate soluzioni “concrete e competenti” alla situazione. Sulle pagine di La Repubblica, l’8 aprile scorso anche il presidente dei vescovi del Triveneto e patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha detto la sua tristezza di fronte a una “manifesta impotenza della classe dirigente” europea che non sa costruire una politica comune e non riesce “a governare, almeno in parte, questo incessante flusso di migranti”. Di fatto oggi in tanti stati europei è la politica della paura e del ripiegamento a tenere banco. C’è da augurarsi che la politica del futuro e della progettualità abbia solo perso momentaneamente la voce ma non le idee.

Tutti i diritti riservati

Immigrazione

archivio notizie

04/12/2017

Dagli Scout del “Torino 55” un accorato appello per lo "Ius soli"

Appello alle forze politiche dal gruppo Agesci Torino 55, quartiere Mirafiori: "gli immigrati ci affidano i loro figli, li stiamo educando insieme, è urgente riconoscere a questi ragazzi la cittadinanza italiana"

20/11/2017

Accolti dalla Diocesi di Torino i primi 53 profughi allontanati dall'ex Moi

Davide Ricca, presidente della Circoscrizione 8, annuncia l'avvio della liberazione delle palazzine occupate a Torino da 800 rifugiati in via Giordano Bruno. Completata l'operazione negli scantinati: trasferite senza incidenti le prime 68 persone, la Diocesi ne ha accolte 53.

07/09/2017

Profughi, l'aiuto di Roma per liberare il Moi

Torino modello nazionale - il ministro dell'interno Minniti incontrando il sindaco Appendino e il prefetto Saccone ha lodato la "strategia" subalpina per la ricollocazione dei rifugiati, un piano condiviso da enti locali, diocesi e Compagnia di San Paolo

31/08/2017

Non si può chiudere gli occhi, la sfida dei rifugiati

Il direttore dell'Ufficio per la Pastorale dei Migranti della diocesi di Torino su "La Voce e il Tempo" illustra l'impegno di enti locali, diocesi e Compagnia di San Paolo sul caso "Moi"