La sfida della comunità ecclesiale svizzera

I vescovi cattolici si sono espressi attraverso la commissione Justitia et Pax, che ha pubblicato nei giorni scorsi un interessante studio dal titolo “Il suicidio degli anziani: una sfida”

Parole chiave: dolore (8), eutanasia (10), morte (35), anziani (12), svizzera (3), cattolici (72)
La sfida della comunità ecclesiale svizzera

C’è un aspetto nuovo e inquietante legato all’invecchiamento dell’Europa  che si sta mostrando, esito delle evoluzioni socio-culturali di questo nostro tempo, ma a volte anche della crisi economica: è il suicidio degli anziani. Non necessariamente malati, spesso soli, qualche volta ricchi, ma più spesso poveri, sono sempre di più in Europa le persone della terza età che si tolgono la vita. I connotati del fenomeno cambiano, così come le risposte.

Per esempio, nel 2014 Il ministro per i servizi sociali del governo danese aveva varato una serie di misure per prevenire il suicidio tra gli anziani, soprattutto lavorando sulle conoscenze e competenze di professionisti e volontari che a vario titolo si trovano a lavorare a contatto con gli anziani. Il dato del 2014 era che un terzo del numero totale dei suicidi in Danimarca sono commessi da persone over 60, con un picco tra gli uomini oltre gli 80 anni (rispettivamente 28 e 32 su 100 mila tra gli uomini di 65-79 e 80; per le donne il tasso scende a 10.9 e 9.5 su 100mila). Solitudine, indicava lo studio, la causa più frequente. In Olanda qualche mese fa, un movimento per l’eutanasia aveva cercato di spingere per la legalizzazione di una “pillola per la morte” a disposizione per gli ultra 70enni. Proposta fortunatamente respinta. Anche in Gran Bretagna come nella Svizzera a noi più vicina, la “morte volontaria nella vecchiaia”, elegante eufemismo di “suicidio degli anziani”, è diventata obiettivo di associazioni organizzate che avanzano la richiesta di aprire la possibilità di morte programmata non più solo alle persone in stadio terminale di una malattia o estremamente sofferenti, ma alle persone coi capelli bianchi che a un certo punto vogliono decidere il momento e il modo di porre fine alla loro vita, per evitare le difficoltà e le limitazioni che ogni invecchiamento porta con sé. L’1,25% della popolazione elvetica (circa 100 mila persone) è iscritta a una clinica della morte.

 Non tutti sono malati terminali, anche se manca il dato preciso di quanti siano “semplicemente” anziani. Nel dibattito in corso in Svizzera anche i vescovi cattolici si sono espressi attraverso la commissione Justitia et Pax, che ha pubblicato nei giorni scorsi un interessante studio dal titolo “Il suicidio degli anziani: una sfida” (disponibile in tedesco e in francese su http://www.eveques.ch/). Il dato di partenza è che Il suicidio si è “affrancato dalla condizione di tabù” al punto che un grave problema sociale finisce per essere visto come un’accettabile “soluzione individuale”. Il problema ha radici culturali nella difficoltà oggi ad accettare e concedere spazio al limite e alla fragilità, al dipendere da altri; ha motivazioni sociali nella solitudine di vite che si avvicinano alla conclusione senza affetti che le sostengano in un momento così delicato. Ha poi risvolti medici soprattutto nella lentezza con cui i sistemi sanitari riescono ad adeguarsi alle esigenze di cura della popolazione anziana e a rispondervi in maniera dignitosa; ha implicazioni economiche sia da un lato in relazione alla povertà degli anziani (in Italia sono 590 mila gli anziani sotto la soglia di povertà assoluta, 1.280 mila sotto quella relativa), sia dall’altro lato per il costo economico che ha l’invecchiamento sulle società europee.  E c’è naturalmente un risvolto etico attorno alla discussione (e alla pratica) del suicidio assistito degli anziani. L’opposizione della Chiesa alla “morte pianificata” resta netta.

“Come cristiani respingiamo fermamente la tendenza alla normalizzazione e, di conseguenza, alla banalizzazione della morte provocata dall’essere umano” si legge nello studio di Justitia et Pax Svizzera, che contesta il fatto che la morte stia diventando “sempre più un progetto”, tratto forse più tipicamente elvetico, dove c’è l’idea di una vita condotta razionalmente fino alla morte, dove tutto è controllato e pianificato, senza spazio per l’inatteso. Dal punto di vista cristiano poi ovviamente “la dipendenza dagli altri non è una tara, ma un aspetto fondamentale della condizione umana, così come la frammentarietà e l’imperfezione” della vita. Il documento prova anche a formula alcune “Raccomandazioni” rivolte alla società, alla Chiesa e al sistema sanitario. Le sollecitazioni vanno nel senso di comprendere di nuovo la morte “come parte della vita” e come “evento sociale”; di non escludere gli anziani, ma dare un “migliore riconoscimento alla cura” che i parenti prestano agli anziani e morenti (anche con adeguati sostegni economici o con congedi come nel caso delle maternità). Anche la Chiesa ha il suo da fare nel trovare “risposte nuove e credibili alla ricerca di una buona morte”, nel farsi “avvocato degli anziani e dei deboli” nell’“impegnarsi maggiormente nell’ambito delle cure palliative” e parlare più spesso di vita e di morte. “Gli anziani”, si legge nel testo, “non vogliono entrare solo nella categoria ‘visita agli anziani e ai malati’, ma hanno bisogni specifici che necessitano nuove forme di offerta ecclesiale”. Quanto al sistema sanitario si chiede di “estendere l’offerta delle cure palliative”, continuando “a esplorarne le possibilità e i limiti”. Il dibattito resta aperto, come resta il bisogno di risposte e soluzioni convincenti per questo insidioso problema.

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