Auschwitz. Il silenzio assordante della preghiera del Papa

La preghiera e il dolore di Papa Francesco ad Auschwitz e Birkenau: teatro dello sterminio di oltre un milione di uomini, donne e bambini.

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Auschwitz. Il silenzio assordante della preghiera del Papa

“Il silenzio … Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari… Ma i giornalisti sicuro che ci saranno… Ma senza salutare questo, questo… No, no! Da solo, entrare, pregare e che il Signore mi dia la grazia di piangere…” Così Papa Francesco aveva anticipato ai giornalisti il suo desiderio di visitare Auschwitz.

E così è stato: Papa Francesco ha varcato da solo il pesante cancello con la scritta “Macht arbeit frei”, “Il lavoro vi renderà liberi”. Una scritta cinica, espressione della macabra ironia di chi ha saputo prestare le proprie mani al demonio, al punto di arrivare a portare sulla terra questo pezzo di inferno.

In mezzo a queste tenebre è arrivata una luce: quella della preghiera portata da Papa Francesco nel dolore di questo luogo. Un dolore che rende muti.

“Signore, abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdono per tanta crudeltà! Franciscus 29.7.2016” è quanto il Pontefice ha scritto sul libro d’onore nel campo di Auschwitz.

Il Papa si è raccolto in preghiera per quindici lunghi minuti davanti alla “piazza dell’appello”, il luogo dove i nazisti impiccavano i prigionieri. Poi ha voluto toccare con mano proprio una delle travi utilizzata per le impiccagioni. Quindi, a bordo di una vettura elettrica, ha raggiunto l’ingresso del Blocco 11 dove trovò la morte padre Massimiliano Kolbe.

E’ stato questo un momento estremamente intenso. Nel buio della cella numero 18, la “cella della fame” il Papa ha pregato a lungo. Una sedia al centro della angusta stanza, il buio tutto attorno, le spalle curve, il Papa ha alzato il suo grido silenzioso a Dio.  

Sulla parete si vede una croce, tracciata probabilmente a mani nude, dallo stesso Padre Kolbe. Tutta la potenza di un simbolo in questo oceano di male.  Proprio il  29 luglio di 75 anni fa, il “martire dell’amore” come lo definì Paolo VI, scambiò la propria vita con quella di un padre di famiglia condannato a morte.

La visita a Birkenau

Il dolore chiama altro dolore. A poca distanza da quello di Auschwitz si trova il campo di sterminio di Birkenau. Sceso dalla vettura elettrica il Papa ha proseguito la sua visita silenziosa anche in questo luogo dove, con la mano sul cuore, ha camminato lentamente davanti alle 23 lapidi del “Monumento alle Vittime delle Nazioni”. Ventitrè pietre, ventitrè lingue, ventitrè nazioni; tanti i luoghi dai quali provenivano le vittime. Difficile contare con precisione quante furono, perchè i nazisti, prima di abbandonare i campi, distrussero gran parte della documentazione; però gli studi più recenti parlano di 1.300.000 deportati, dei quali 1.100.000 trovarono la morte.

Sull’ultima lapide il Papa ha posato un biglietto ed una candela accesa. Anche qui una luce di speranza davanti all’insensatezza di una barbarie atroce.

Nel campo il rabbino capo della Polonia ha intonato il Salmo 130, De profundis in ebraico. Subito dopo lo stesso salmo è stato letto anche da un sacerdote cattolico, parroco di un paese dove viveva la famiglia cattolica Ulma: una intera famiglia sterminata, senza risparmiare nessuno, neppure i bambini. Il loro crimine? Avere ospitato alcuni ebrei.

E proprio 25 “giusti”, non ebrei che non hanno esitato a mettere a repentaglio la propria vita per salvare quelle dei deportati, hanno incontrato Papa Francesco al termine della visita. Tra di loro era presente anche Suor Matylda Getter, in rappresentanza delle francescane che, con la loro protezione, garantirono la salvezza ad oltre cinquecento bambini ebrei.

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