Europa: uniti siamo più sicuri e più liberi

Dopo gli attentati a Bruxelles, intervista a Giampiero Gramaglia, consigliere dell'Istituto affari internazionali: "Il problema è la mancanza di una politica di sicurezza e di difesa comune"

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Quando il terrorismo colpisce al cuore, non è solo con il cuore che si deve rispondere, ma con l'intelligenza, il buon senso, ma anche la determinazione della volontà. Con tutti i mezzi. Si continua a sonnecchiare tra mille analisi, ventate di prudenza e nessuna scelta. Giampiero Gramaglia, profondo analista della politica internazionale, consigliere dell’Istituto affari internazionali (Iai), a Bruxelles è vissuto per anni, l’ha vista crescere con l’Europa e con i quartieri che cambiavano colori e nel cui sottosuolo la rabbia cresceva.

Dopo il dolore e il terrore, Junker e Valls in strada per il minuto di silenzio, che cosa rimane a Bruxelles?

Sangue, dolore, lacrime. E parole. Gli attacchi terroristici che hanno colpito e ferito la capitale del Belgio e dell’Unione hanno innescato il pianto pubblico di Federica Mogherini e un profluvio di dichiarazioni, magari dovute, certo ripetitive: una sequela di «bisogna», «mai più», «sia fatta piena luce» e imperativi categorici, che i leader dei 28 e delle istituzioni ci hanno dispensato. Decisioni e risposte concrete, per ora, nulla: neppure la riunione ovviamente straordinaria dei ministri dell’Interno e della Giustizia dei Paesi dell’Ue ha sortito altro che impegni alla collaborazione fra forze dell’ordine e allo scambio d’informazioni fra intelligence, scontati e generici.

Così le istituzioni, ma la gente comune?

Tra impacci della polizia e imprecisioni nelle indagini (almeno queste le prime impressioni), Bruxelles e i suoi cittadini di tutta Europa hanno offerto al mondo intero una grande prova di dignità, orgoglio e coraggio: il giorno dopo le stragi, le scuole erano aperte, la metro circolava, gli uffici funzionavano: i belgi hanno fatto bene quello che sanno fare meglio, il loro dovere ogni giorno: un eroismo del quotidiano che è la risposta più giusta e nel contempo più difficile alla minaccia jihadista, non farsi prendere dalla paura, non rinunciare alla propria vita.

Anche dopo Parigi si chiese una sola intelligence. Ora di nuovo. C’è speranza che la solita passerella lasci il passo a qualche decisione: stessa intelligence, una Procura europea?

Prendo a prestito parole e concetti del professor Roberto Castaldi, un federalista. Oltre a esprimere cordoglio per le vittime, è importante che i governi dei Paesi dell’Ue rispondano a due semplici domande: «Contano di più le vite delle persone o le gelosie tra i vari servizi segreti nazionali?; e gli Usa sarebbero più sicuri senza apparati di sicurezza federali, cioè, per intenderci, senza l’Fbi o, a livello d’intelligence, l’Nsa, ma contando solo su quelli dei singoli Stati membri?». È un modo efficace di porre il problema della mancanza d’una politica di sicurezza europea, oltre che estera e di difesa ed estera. Una prima minima risposta “federale” agli attacchi in atto sarebbe la creazione di una polizia federale europea, che, sull’esempio del Secret Service degli Stati Uniti, tuteli le Istituzioni che rappresentano - direttamente, come il Parlamento o il Consiglio - o indirettamente - come la Commissione - 500 milioni di cittadini europei.

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