Tanta, geniale Italia nella Silicon Valley

La visita del premier Matteo Renzi a San Francisco. Gli imprenditori italiani al lavoro negli Usa hanno invitato il governo a “usarli” per creare un ponte tra il nostro Paese e il mondo tecnologico ormai globalizzato

Tanta, geniale Italia nella Silicon Valley

Lunedì 22 settembre, ore 8: imprenditori e startupper italiani che vivono e lavorano nella Silicon Valley e nella Bay Area attendono l’arrivo del presidente del Consiglio Matteo Renzi al St. Francis Yatch Club di San Francisco. A organizzare l’incontro è stato il console Mauro Battocchi. La sera prima Renzi, ospite di John Hennessy, presidente della Stanford University, aveva incontrato, presso quello che è uno dei più importanti atenei al mondo, investitori americani e personalità di assoluto rilievo quali i due ex segretari di Stato americani George Schulz e Condoleeza Rice.

Stanford e San Francisco sono state le prime due tappe della missione statunitense di Matteo Renzi, una missione che ha preso avvio proprio qui, nella Santa Clara Valley, culla della tecnologia. Erano 32 anni che un primo ministro italiano non visitava questa parte del mondo: l’ultimo era stato Giovanni Spadolini. Ancora un fiorentino, quindi: e anche stavolta l’Italia si è accorta di essere tra i protagonisti del Rinascimento digitale. Non dimentichiamo, infatti, che sono stati nostri connazionali come Federico Faggin (il padre del primo microprocessore) o come Enzo Torresi (il primo promotore dei prodotti Apple) ad essere tra i pionieri della storia della Silicon Valley.

«Quando dicevo che Jeffrey Immelt di General Electric, che è il più grosso datore di lavoro di Firenze, mi spiegava che all’Italia invidiava soprattutto i suoi ingegneri, da noi mi ridevano in faccia». Così Renzi si è rivolto agli imprenditori e startupper italiani, avviando con loro un dialogo che si è trasformato, nel corso della mattinata, in un intenso scambio di opinioni, e nel quale il premier non ha mancato di sottolineare l’importanza dei legami con l’Italia e l’ammirazione per coloro che portano il nome del proprio Paese nel santuario della tecnologia digitale.

«San Francisco è una capitale del futuro», ha detto Renzi. E ribadendo che la sfida per gli italiani di oggi è quella di essere gelosi del proprio passato, ma allo stesso tempo di proiettarsi in avanti nel tempo, il premier non ha nascosto che la sua visita negli Usa è nata soprattutto per ascoltare, prendere appunti e poi tornare in patria e utilizzare questa sua esperienza statunitense.

Le frasi pronunciate dal presidente del Consiglio nella Silicon Valley, riverberate da tg e giornali («l’Italia ha una chance straordinaria per smettere di piangersi addosso», «ci sono cose da cambiare nel nostro Paese in modo quasi violento», «il fatto che ci sia un premier libero da padrini e padroni è il segno che l’Italia si è stancata di certi riti») hanno rilanciato un volta di più la questione dei «cervelli in fuga» che scelgono di andare all’estero per avere successo. «Non vi chiedo di tornare a casa, ma di andare avanti e lavorare per cambiare il mondo», ha detto Renzi. «Se poi vorrete darci una mano nel cambiamento», ha aggiunto, «siete benvenuti, ma l’obiettivo è fare in modo che torniate non per le pappardelle o il vino, ma perché l’Italia è diventata un Paese che guarda al futuro».

L’appello di Matteo Renzi è stato raccolto dagli imprenditori e computer scientists italiani qui al lavoro, che nei loro interventi hanno esposto idee e hanno invitato il governo a “usarli” per creare un ponte tra l’Italia e il mondo tecnologico ormai globalizzato. Si tratta di molte, affermate realtà produttive, alcune create interamente sulla West Coast, altre gestite dall’Italia, ma con decine o centinaia di dipendenti in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. «Perché da noi», hanno spiegato molti degli imprenditori che hanno preso la parola, «gli ingegneri di qualità non mancano. Spesso sono migliori di quelli americani e possono anche costare meno. Ma manca il sistema, la cultura manageriale, i canali di finanziamento, l’abitudine a promuovere chi accetta le sfide, a incoraggiare l’assunzione di rischi».

Marco Marinucci di «Mind the Bridge», ad esempio, ha invitato Renzi a usare la comunità italiana della Bay Area per rilanciare il Paese, sollecitandolo ad introdurre l’insegnamento dell’imprenditorialità non solo nelle università, ma anche nelle scuole medie e superiori; Aldo Cocchiglia di M31 (un acceleratore di impresa di Santa Clara) ha sottolineato invece il bisogno di creare un collegamento tra le esperienze accademiche e il mondo dell’industria per favorire il trasferimento di tecnologia e soprattutto per fornire gli strumenti per avvicinare le aziende ai dottorandi e ai dottorati di ricerca dei nostri atenei; Fabrizio Capobianco, inoltre, fondatore di Funambol (un’azienda di software con sedi negli Usa e in Italia) e oggi di Tok.tv, ha lasciato al premier e ai presenti all’incontro un messaggio dalle suggestioni profonde: «Cosa farei io, se fossi presidente del Consiglio? Punterei tutti i (pochi) gettoni che abbiamo sul software. In Italia abbiamo i migliori software designer al mondo. Lo dico perché l’ho visto di persona, vivendo in Silicon Valley da quindici anni. Sono partito dalle montagne della Valtellina, ho creato la prima azienda di web a 23 anni, sono venuto fino a qui per scoprire che i migliori ingegneri al mondo li abbiamo in Italia. Uno shock».

«Fare software», ha aggiunto Capobianco, «costa pochissimo, basta un computer da 500 euro. Ce lo possiamo permettere come Paese, anche in un momento di difficoltà. Il software è ecologico. Non bisogna andare in ufficio. Non inquina. Non ci sono magazzini e benzina da utilizzare. Però le aziende giganti del software sono tutte qui, in Silicon Valley. Come diceva qualcuno, se devo piantare pomodori e sperare diventino maturi, non li pianto in Norvegia... Qui le aziende crescono alla grande. In Silicon Valley si colloca il quartier generale, ma gli ingegneri si lasciano in Italia. L’abbiamo fatto con Funambol, dando da mangiare a cento famiglie a Pavia per dieci anni. Abbiamo raccolto oltre 30 milioni di dollari di venture capital negli Stati Uniti, ma abbiamo tenuto la ricerca e sviluppo al Polo tecnologico di Pavia. Ha funzionato benissimo. Tanto che lo stiamo rifacendo con Tok.tv e Juventus Live, con ragazzi che lavorano da casa, in Sicilia, in Sardegna, a Roma, a Milano, a Vercelli. Un modello duale che punta sul software, con capitale americano e cervelli italiani. L’hanno fatto in Israele, e poi hanno creato una piccola Silicon Valley là. Possiamo farlo anche noi».

E poi, ancora, hanno parlato Paolo Privitera di Pick1, Marco Zappacosta di Thumbtack, Vittorio Viarengo, cofondatore di Mobile Iron. Tutti con accenti e toni appassionati. Alla fine di questa sorta di rimpatriata, densa di spunti e riflessioni, la fotografia di gruppo che ritrae alle spalle degli imprenditori e degli startupper italiani il celebre Golden Gate. Il segno, più che evidente, di una creatività unica. Riconosciuta e apprezzata nel Paese delle grandi opportunità e del self made man.

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