Don Arice: «Niente atti di morte nella Piccola Casa»

Il superiore del Cottolengo spiega l’obiezione di coscienza al Dat

Parole chiave: biotestamento (2), chiesa (665), legge (39), morte (35), vita (45)
Don Arice: «Niente atti di morte nella Piccola Casa»

Le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) sono diventate legge. La Piccola Casa della Divina Provvidenza  gestisce a Torino il Presidio Sanitario Cottolengo e ha in tutta Italia centri di accoglienza socio-assistenziali dove migliaia di persone sofferenti vengono seguite e curate quotidianamente. Padre Arice, come vi comporterete rispetto alla nuova legge?

Continueremo a servire la vita in ogni attimo della sua esistenza, anche quando è fragilissima e debole. Come già detto all’indomani dell’approvazione della legge, noi non possiamo eseguire pratiche che vadano contro il Vangelo e in un possibile conflitto tra la legge e il Vangelo sceglieremo il Vangelo. Di fronte ad una richiesta di morte la nostra struttura non potrà mai rispondere positivamente.

La nuova legge afferma come diritto che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se non autorizzato dalla persona interessata.

Credo che un punto nevralgico sia quello di riflettere sull’aspetto del consenso, su chi può chiedere l’interruzione dei trattamenti; penso a tutte le persone sotto tutela, penso con preoccupazione a come si determinano le capacità di decisione.  Il tema vero da affrontare, e non viene fatto, è quello di creare condizioni che permettano a chi è solo e in difficoltà e di acuta sofferenza di non invocare la morte, a cominciare dalle persone anziane che si trovano in povertà e afflitte da patologie gravi. Invece vediamo prevalere troppo spesso la cultura dello scarto che spinge le persone più deboli a dire «tolgo il fastidio». Nella cultura contemporanea della morte non si parla, o a volte se ne parla, soprattutto nei media, spettacolarizzandola. Il problema è culturale. Inoltre i moderni mezzi strumentali impongono una riflessione seria, da un punto di vista terapeutico, sul loro uso per non cadere nell’accanimento terapeutico. E qui mi pare che sia importante il ruolo del medico. Certo è che dare dignità al morente significa accompagnare sempre lui e la sua famiglia in questo momento così delicato della vita.

Ma per contro, cosa rispondere a chi afferma che «se la vita non è più vita» è meglio interromperla?

Formulata la questione in questi termini, quasi nessuno potrebbe porre obiezioni. Ma così è semplicistico ed è di comodo più all’ambiente che al malato, il quale è vero pone delle domande inquietanti, ma le sue parole vanno decodificate e non in un’unica lettura che nel confermi la voglia di farla finita. Prendersi cura del malato è far sì che egli non si senta un residuo biologico la cui permanenza sulla terra va sistemata il prima possibile. Su questo sono importanti da ricordare le parole di Papa Francesco per la Giornata del Malato del 2015: «Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!». Nessuno può arrogarsi il diritto di dire che la vita di un altro è più o meno degna…

In questa prospettiva la questione problematica rispetto al biotestamento non è riducibile alla discussione sulla sospensione di idratazione e nutrizione...

Come ho già detto questo è un falso problema. La sospensione dell’idratazione e la sospensione della nutrizione sono infatti già accettate dalla Chiesa: il criterio della proporzionalità delle cure è stato fissato già da Pio XII ed è ripreso in modo esplicito nella Carta per gli Operatori Sanitari approvata da Papa Francesco, nella quale al punto 152 si afferma che nutrizione e idratazione sono da mantenere quando “non risultino troppo gravose” mentre in altri casi “non sono giustificate”. Le nostre riserve sono motivate dalla questione di un’autodeterminazione che mortifica il rapporto medico-paziente e la professione stessa del medico, cristallizza una volontà espressa in tempi diversi dalla situazione che si sta vivendo in quel momento e soprattutto spinge a una visione della vita che non è accettabile, per la quale solo chi è vincente merita di sopravvivere.

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