Danzica, 1980. Nasce Solidarnosc

In trent'anni il racconto della mutazione della Polonia. Diario di viaggio dei pensionati Cisl del Piemonte e la Fondazione Nocentini

Parole chiave: walesa (1), polonia (27), solidarnosc (4), sindacato (9)
Danzica, 1980. Nasce Solidarnosc

Da Torino a Danzica e ritorno. Tutto era iniziato da un progetto di memoria collettiva e di ricostruzione storica con un incontro al Polo del ‘900 il 14 giugno, poi il viaggio a settembre in Polonia, a Danzica, di un gruppo di sindacalisti, ricercatori e cittadini legati alla Cisl per cercare di capire. Arrivati nella città baltica tante sono state le emozioni, prima fra tutte la possibilità di attraversare il «cancello 2», di quelli che una volta erano i cantieri navali da dove è partito il movimento che ha contribuito alla liberazione della Polonia dal regime comunista. Il pensiero è corso, immediatamente, alle immagini degli operai, capeggiati da Lech Walesa, che scioperano e resistono per giorni fino all’ottenimento delle ventuno richieste di libertà e di miglioramento delle condizioni di lavoro contro il regime controllato da Mosca.

Cosa dunque è successo in questi anni in Polonia, una nazione oggi molto diversa da quella degli anni Ottanta? Dalla caduta del comunismo è cambiato quasi tutto. Era il giugno 1989 quando nella Repubblica popolare di Polonia si tennero le prime elezioni semi-libere da sessant’anni a quella parte. Le elezioni furono vinte da Solidarnosc, il primo sindacato non controllato dai comunisti in un Paese del Patto di Varsavia. L’allora presidente polacco, il comunista Wojciech Jaruzelski, fu costretto a nominare un primo ministro di Solidarnosc anche se il suo partito mantenne di fatto il controllo dei ministeri più importanti, tra cui quello degli Interni e della Difesa: il principio su cui si basò la redistribuzione delle cariche politiche più importanti della Polonia fu «vostro presidente, nostro primo ministro».

Iniziò così un periodo di transizione verso l’economia di mercato. La Repubblica popolare di Polonia fu abolita alla fine del 1989 e il Partito comunista fu sciolto. Emersero però nuovi problemi: la disoccupazione crebbe parecchio e molti esponenti del nuovo governo cominciarono a sfruttare le nuove opportunità date dalla privatizzazione dell’economia nazionale per arricchirsi, comprando gli asset statali e alimentando la corruzione. Dopo le elezioni del 1989 cominciarono a emergere le divisioni dentro Solidarnosc: da una parte c’erano quelli che avevano raggiunto posizioni di potere, dall’altra quelli che ne erano rimasti esclusi, tra cui i due fratelli Kaczynski. Secondo loro la nuova Polonia non era stata ridisegnata secondo il principio «vostro presidente, nostro primo ministro»: si era scelto di scendere a patti con i comunisti e quindi anche il primo ministro di Solidarnosc era compromesso. I rapporti tra Walesa e i Kaczynski rimasero buoni durante tutti i primi mesi della transizione. Alla fine del 1990 Walesa fu eletto presidente e Jarosław Kaczynski fu nominato capo della cancelleria presidenziale. Dopo solo undici mesi, però, Walesa lo licenziò, dando inizio a una delle rivalità che più hanno condizionato la politica polacca degli ultimi vent’anni.

La rottura definitiva dentro Solidarnosc avvenne sulla questione della nuova Costituzione, che era stata negoziata dalle forze di sinistra (eredi dei comunisti polacchi) e dai liberali: tra le altre cose rafforzava i diritti dei non credenti e rifiutava il concetto di primazia della Chiesa cattolica nella vita pubblica della Polonia. Quando fu messa ai voti, molte regioni dove la Chiesa cattolica era molto influente, come quelle orientali, la bocciarono.

Nel 2001 i liberali di Solidarnosc, quelli che di fatto avevano guidato la Polonia dopo la fine del comunismo nel 1989, fondarono Piattaforma civica, un partito favorevole all’economia di mercato e filo-europeista in politica estera. I ‘dissidenti’ fondarono Diritto e giustizia, un partito contrario alla democrazia liberale ed euroscettico. Dopo anni di governo di Piattaforma civica, oggi il presidente e il primo ministro sono entrambi di Diritto e giustizia. L’ultima volta era successo tra il 2006 e il 2007, quando i due fratelli gemelli Lech e Jarosław Kaczynski ne ricoprirono rispettivamente i ruoli: un caso unico al mondo.

L’incidente aereo del 10 aprile 2010 che causò la morte del presidente della Polonia Lech Kaczynski e di altre 95 persone fu accettato dal partito dei gemelli polacchi non come una fatalità, ma definito come complotto ordito dai russi e dalle opposizioni interne. La tragedia, che suscitò grande commozione nel popolo polacco, segnava la fine della stagione dei grandi riformatori, Bronislaw Geremek e Tadeusz Mazowiecki, e dello stesso Walesa e il passaggio ad una politica fortemente nazionalista e populista impersonata dal gemello Jaroslaw Kaczynsky, al potere fino al 2014, in una Polonia che dopo quasi trent’anni dalla fine del totalitarismo appare sempre più distante dall’idea democratica e popolare dei primi anni post-comunisti.

Oggi i cantieri sono diventati un centro molto moderno, in vetro e acciaio, che ospita gli uffici del presidente, ma l’atmosfera del passato si respira ancora nelle sale storiche, come la Bhp, dove venne firmato l’accordo del 1980, o sul piazzale antistante con il monumento delle tre croci, eretto per ricordare gli operai del cantiere navale caduti nel 1970 e onorarne la memoria. Roman Kuzimski, attuale vice-segretario di Solidarnosc Regione di Danzica, non si schermisce e affronta le riflessioni più scomode, come quelle sul problema immigrazione o sull’attuale rapporto tra il sindacato polacco e Lech Walesa. Due sono le questioni principali: da una parte la difficoltà del sindacato a intercettare i lavoratori a causa della frantumazione del tessuto produttivo (i cantieri navali che occupavano decine di migliaia di operai hanno lasciato il posto a una miriade di piccole aziende), dall’altra il fatto che Solidarnosc paga il prezzo di aver accettato la liberalizzazione. Aprire al libero mercato era l’unica via per uscire dal comunismo, ma questo ha provocato una perdita del potere sindacale.

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