La comunità di don Orione per i profughi di Iraq e Siria

Parla padre Hani Polus Al-Jameel, sacerdote iracheno, che opera presso la missione di Zarqua in Giordania. Aiuti arrivano dalla Caritas internazionale e dall’associazione torinese Cidibì onlus

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La comunità di don Orione per i profughi di Iraq e Siria

Scorrono nella chiesa torinese di Sant’Alfonso le immagini dei profughi: giovani a scuola, famiglie che vivono momenti conviviali, in festa per una prima comunione, persone che accedono ad ambulatori medici…. Tutto all’apparenza «normale», ma le parole di Hani Polus Al-Jameel, religioso orionino  iracheno di Mosul, che accompagnano la sequenza fotografica svelano una realtà ben diversa, dove la normalità e la dignità nella missione a Zarqua, in Giordania, al confine con la Siria, sono garantite solo a prezzo dello sforzo quotidiano dei religiosi e delle offerte destinate ai vari progetti di accoglienza messi in campo dalla congregazione orionina.

Offerte che giungono dalla Caritas internazionale, dalla Cei e anche da realtà come l’associazione Cidibì onlus che con il contributo della Quaresima di Fraternità 2016 ha  sostenuto l’acquisto di vestiario e generi alimentari ai profughi. E proprio per rilanciare la solidarietà ai profughi accolti a Zarqua la comunità parrocchiale di Sant’Alfonso che ha destinato 2.000 euro al progetto della Quaresima di Fraternità dell’associazione Cidibi, ha organizzato il 13 giugno un incontro con padre Hani: prima la celebrazione eucaristica, poi il racconto: filo conduttore il dono del perdono che – ha ribadito il religioso «non può che venire dall’alto, da Dio perché gli uomini da soli non potrebbero riuscire a perdonare chi li ha mandati via, chi ha tolto loro ogni cosa...».

E sono tanti i profughi che sono arrivati e che continuano a fuggire in Giordania: profughi siriani, un milione e mezzo circa, e migliaia di profughi iracheni. «Tanti – spiega padre Hani – famiglie cristiane e musulmane, messe in fuga dalle violenze, senza più nulla. Numeri che aumentano, nonostante una parte stia andando via: negli Stati Uniti, in Australia, Canada... mentre purtroppo diminuiscono gli aiuti internazionali». Numeri, ma si coglie dalle parole appassionate di padre Hani e dei volontari di Cidibì che non si tratta di statistiche ma soprattutto di volti e situazioni che non possono lasciare indifferenti. «Anche se noi siamo lì – prosegue – non sappiamo prevedere cosa accadrà o spiegare le ragioni di quel che sta succedendo in Iraq e Siria, ma quel che sappiamo è che non possiamo stare fermi a guardare e abbiamo fiducia che l’amore vincerà sempre». Parole fiduciose da chi vive sulla propria pelle il dramma dei profughi: la famiglia, sorelle e fratelli e il padre quasi centenario del religioso erano a Mosul e sono dovuti fuggire. Parole che non ammettono distinzione tra le fedi professate. «Aiutiamo tutti, cristiani e musulmani, senza differenze.

Offriamo accoglienza, cibo, aiuti per le cure mediche, cerchiamo di far proseguire gli studi o presso di noi o presso le altre scuole ai giovani delle famiglie ospitate, poi ci sono progetti mirati come quello legato alla produzione agricola in cui i profughi coltivano cetrioli, patate, cipolle...». Ed ecco che anche il progetto agricolo testimonia uno spirito caritativo che va oltre l’assistenzialismo: «in questo modo – spiega ancora – i profughi si sentono attivi, operosi e al tempo stesso sperimentano anche la condivisione. Hanno coltivato e poi hanno distribuito agli altri i prodotti del loro lavoro».

Ed è il lavoro un’altra sfida per non far dimenticare ai profughi la loro dignità: «gli iracheni ufficialmente sono considerati ‘ospiti’ e quindi non possono lavorare, solo ai siriani è stato consentito. Ma il lavoro è ciò che permetterebbe loro di migliorare le condizioni economiche in cui si trovano e anche di occupare il tempo, per non cedere nell’inattività anche al disagio psicologico, alla disperazione. Così noi per ogni famiglia accolta cerchiamo di far sì che almeno una persona abbia una occupazione, ma anche questo non è sempre facile». Sfide complesse, che si affrontano giorno per giorno e che servono a non far perdere la speranza a tanti giovani e bambini che sarebbero il futuro della Siria e dell’Iraq: «Io spero – ha concluso padre Hani  –  che tutti i profughi possano tornare alle loro terre, spero nella pace: so che sembrano traguardi irraggiungibili ma credo anche che con la preghiera non ci sia niente di impossibile».

Chi volesse conoscere la realtà di padre Hani può cosnultare il sito della congregazione orionina o contribuire attraverso la Cidibì onlus (Iban IT36F0883301002000190101239).

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