Tangentopoli in Brasile: il fine può giustificare i mezzi?

La clamorosa situazione politica del Paese Sudamericano che coinvolge la presidente Rousseff e l'ex Lula a pochi mesi dall'inizio delle Olimpiadi di Rio

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Tangentopoli in Brasile: il fine può giustificare i mezzi?

Dopo mesi di accuse, per corruzione e tangenti, ai più alti vertici, presenti e passati, dell’azienda petrolifera nazionale, la Petrobras, le indagini giudiziarie, dopo aver riguardato anche  l’attuale presidente della Repubblica, Dilma Rousseff, sono arrivate a toccare il precedente capo dello Stato, il mito della sinistra non solo locale, cioè  Lula, l’operaio sindacalista che ha guidato la nazione per due mandati presidenziali. La situazione è in continua evoluzione ed è molto problematica, tenendo presente l’affanno dell’ economia, la cui crescita è molto rallentata, e le incombenti Olimpiadi, i lavori per le quali sono parecchio in ritardo (nonostante le enormi spese sostenute).

 Non è facile capire se la  “tangentopoli”, carioca o paulista, provocherà la fine dell’attuale classe dirigente espressa dal PT (il Partito dei Lavoratori), riportando il Paese nell’alveo della destra conservatrice, sostenuta dalle classi abbienti, oppure –addirittura- si dovrà tornare a qualche forma di tutela militare, come spesso accade in Sud America (e non solo) nei momenti di maggior crisi.

Le inchieste in corso sono solo l’ultima puntata di una storia che ha condizionato i governi guidati dalla sinistra. Già nel 2006 vi furono pesanti accuse al PT per la “compravendita” di parlamentari dall’opposizione,  in quanto i “numeri” non gli erano sufficienti a garantire la governabilità. Il fatto aveva scandalizzato una certa parte della classe media, anche di matrice cattolica, che riteneva queste pratiche  incompatibili con un’amministrazione “etica” del bene pubblico. Molti erano in dubbio se votare a favore della riconferma di Lula (che venne poi confermato),  nonostante i forti interventi sociali del suo governo, che trassero fuori dalla povertà milioni di persone (non una goccia, pur nel mare immenso delle diseguaglianze economiche brasiliane).

Ebbi, allora, occasione di parlarne con Alberto Tridente, torinese di Venaria,  uomo politico della sinistra e profondo conoscitore dell’ America Latina, uno dei sindacalisti che avviò la nascita dei sindacati brasiliani, negli anni ’60, quanto alcune aziende europee (tra cui la Fiat)  iniziarono a produrre là, durante la dittatura militare. Tra i quadri sindacali da loro formati ci fu anche Lula, che così  iniziò la carriera politica che lo portò, infine,  alla presidenza, primo uomo non appartenente alla minoranza ricca, ma proveniente dalla maggioranza povera della popolazione.

Sempre nel 2006, Tridente, scomparso qualche anno fa, aveva fatto parte di un’ampia delegazione italiana, che visitò le maggiori città brasiliane, per migliorare i rapporti di scambio tra Italia e Brasile, missione in cui il Piemonte e Torino avevano avuto grande parte, per storici motivi di collaborazione. Pur consapevole della veridicità delle accuse, Alberto mi invitò a riflettere sui fini e sui mezzi: se il fine era sollevare dalla miseria più persone possibile e limitare le diseguaglianze, che vedono alternarsi miserevoli favelas, spesso gestite  dalla criminalità, ad enormi grattacieli lindi e  luoghi di benessere per pochi, protetti da guardie e muri, … il fine poteva giustificare il mezzo? Si riferiva, esclusivamente, a pratiche scorrette, volte però a raggiungere un bene comune (garantire la governabilità per combattere la miseria). La suggestione sulla “moralità o meno” di tali pratiche è senz’altro forte, soprattutto quando la maggior parte delle persone non sa come conciliare il pranzo con la cena, … ribadisco, riflettevamo solo sulla liceità o meno di prassi  non limpide,  per favorire uno Stato più giusto,  in quella società estremamente diseguale, certamente non per ottenere un attico al mare. Allora sì che, davvero, cadrebbe un mito.

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