Ma-laria a Torino la maglia nera

Continua la fase negativa dell'inquinamento atmosferico in città. Maglia nera tra le grandi metropoli italiane, con gravi conseguenze sulla salute della popolalazione

Parole chiave: inquinamento (11), torino (730), smog (6), politiche (6), salute (25)
Ma-laria a Torino la maglia nera

I recenti dati di Lega Ambiente sull’inquinamento atmosferico a Torino, la città che sta peggio in Italia, sono da inquadrare nel tempo e nello spazio. Nel tempo, perché oggi stiamo meglio che negli anni 60, quando l’uso del carbone generava abbondanti emissioni di anidride solforosa con le conseguenti piogge acide. Nello spazio, perché se si guarda una mappa mondiale della qualità dell’aria ne usciamo male. L’inferno dell’inquinamento atmosferico si concentra in 4 aree.

La più estesa è la Cina industrializzata tra Pechino e Shanghai, un’altra è negli Stati Uniti tra New York e Detroit, e due sono in Europa: il nord della Germania e la pianura padana, da Torino all’Adriatico. Nell’aria della pianura padana, poco soggetta a ricambio perché chiusa nell’abbraccio delle Alpi e degli Appennini, si accumulano polveri, ossidi di azoto e ozono in misura variabile a seconda delle stagioni ma sempre in quantità pericolose per la salute.

L’ultimo rapporto sulla qualità dell’aria in Europa distingue tre killer: le polveri sottili, il biossido di azoto e l’ozono. In totale sarebbero 59 mila all’anno i morti – diretti e indiretti – da mal-aria nel nostro Paese. E più di 450 mila in Europa. Di solito le polveri sottili vengono attribuite ai motori diesel, e per questo, superati certi limiti, in molte città vengono fermate le auto che non siano almeno Euro 4. Pochi sanno, però, che metà delle polveri sottili sono prodotte dagli pneumatici, e quelli li hanno anche le Euro 4, 5 e 6.

Auto a parte, le poveri sottili derivano soprattutto da attività industriali e produzione di energia ma nell’aria troviamo anche fibre, pollini, spore, granelli di sabbia e di sale. Le sorgenti naturali rappresentano oltre il 90% della produzione, ma i danni peggiori li fa il restante 10 per cento dovuto all’azione umana perché si concentra in zone densamente abitate.

Le polveri sono più o meno pericolose a seconda delle dimensioni. Mentre il particolato grossolano si ferma nel muco delle fosse nasali, le polveri fini sono tanto più insidiose quanto minore è il loro diametro e si fissano nei polmoni.

Preoccupano soprattutto le particelle con un diametro sotto i 10 micron, cioè 10 millesimi di millimetro, un decimo dello spessore di un capello. Si distinguono quattro formati: Pm10, intorno a 10 micron, che si accumula nei bronchi; Pm2,5, circa un trentesimo dello spessore di un capello, in grado di penetrare nei polmoni e nei loro alveoli; Pm1, con diametro inferiore a 1 millesimo di millimetro, all’incirca le dimensioni di un microbo; Pm0,1, con diametro di un decimillesimo di millimetro.

La quantità di Pm (Particulate Matter) si misura in grammi per metro cubo. Le norme europee richiedono che il valore massimo per la media annuale di Pm10 sia 40 microgrammi per metro cubo e il valore massimo giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo. Sono consentiti 35 superamenti all’anno di questi valori. I particolati più fini sono sottoinsiemi del Pm10 in proporzioni più o meno costanti Il Pm2,5 non dovrebbe superare il limite medio annuo di 25 microgrammi per metro cubo. Di solito Torino, Milano, Brescia e Monza non riescono a rispettare le norme. Se si adottano i limiti più restrittivi consigliati dall’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) sforano anche Roma, Firenze, Napoli, Venezia, Cagliari e molte altre città di medie dimensioni.

Asma, bronchiti, enfisema, allergia, congiuntiviti, dermatiti, siccità oculare e disturbi cardiocircolatori sono i malanni che, in forma acuta o cronica, risultano più frequenti. Associati ad altre patologie e all’età avanzata, aumentano il rischio di morte precoce. Tra gli effetti più gravi ci sono poi tumori polmonari e, nei bambini, un ritardo nello sviluppo dei polmoni.

La connessione con lo sviluppo di tumori polmonari è ampiamente provata. Lo studio più completo è ancora quello pubblicato su «Lancet Oncology» nel 2013. Un gruppo di studiosi, tra i quali l’epidemiologo Paolo Vineis, professore all’Imperial College di Londra, ha valutato l’azione degli inquinanti atmosferici in 17 studi e altrettanti campioni di popolazione di 9 paesi europei, con attenzione a Pm10, Pm2,5 e ossidi di azoto. In totale 330 mila soggetti per 4 milioni di anni-persona. I tumori polmonari associabili a particolato fine sono stati 2095. Un aumento del traffico di 4000 veicoli-km al giorno a 100 metri dall’abitazione risulta correlato con un eccesso di tumori polmonari rispetto alla media, mentre non è emersa una correlazione con gli ossidi di azoto. L’Organizzazione mondiale della sanità ha diffuso nel 2015 un suo studio. Il rapporto si riferisce ai decessi attribuibili al Pm2,5 in tutti i paesi europei: la stima per l’Italia è di 34.511 morti per il 2005 e 32.447 per il 2010. Un terzo nella pianura padana.

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