Sierra Leone fango e morte (dopo Ebola e guerre)
Il padre murialdino missionario a Freetown, racconta il suo popolo in ginocchio. Oltre mille i morti

In agosto a Freetown piove sempre ogni anno e piove molto e in modo torrenziale. Per tanti anni è piovuto e basta e la gente era anche contenta perché così l’acqua per la stagione secca era assicurata. Allora le colline di Freetown erano ricoperte da folta vegetazione e rigogliose foreste.
Poi pian piano, ma non troppo, tutto è cambiato e al posto del verde delle foreste hanno cominciato ad esserci case, sempre più case. Lo si può vedere ora: un disordine di case al posto del verde ricopre le colline.
E così assieme alle benedette piogge sono arrivate le annuali, costanti, sempre più invadenti alluvioni.
Alcuni quartieri più di altri ne hanno subito le conseguenze. Kroo bay, la miserevole bidonville della capitale ne è un esempio chiaro.
Acqua che invadeva le strade trasformandole in torrenti talvolta così impetuosi che era impossibile avventurarsi dentro senza venirne travolti.
2012 alluvione e crolli e morti; 2015 alluvione con crolli e morti numerosi. Fino ad arrivare all’agosto 2017: alluvione, slavina che travolge un quartiere di Freetown, Loaf sugar (pan di zucchero) con più di mille morti di cui 300 bambini e poi acqua a non finire a sommergere i quartieri bassi.
Erano le 6 del mattino del 14 agosto, il muezzin aveva chiamato alla preghiera, la gente si stava alzando per andare al lavoro o a cercare lavoro. Pioveva, una pioggia violenta, continua che durava da due giorni. I bambini continuavano a dormire cullati del ticchettio della pioggia sui tetti di lamiera. E sono scivolati nel sonno verso la morte, travolti con la famiglia da fango e acqua…
Il chiarore del mattino ha rivelato la vastità del disastro e subito la mente è corsa al possibile numero di gente sepolta da tutta quella marea di fango e detriti e chi se ne intendeva bene parlava già di più di mille…
Pianto e disperazione. Ancora una volta la Sierra Leone.
La guerra brutale e devastante, l’epidemia di Ebola che silenziosamente, nel 2014, si portava via la vita: oltre 4 mila persone uccise dal terribile virus. E ora questa catastrofe che in poche decine di minuti inghiotte vita umane con le loro attese, le loro speranze, i loro desideri.
Non ci resta che piangere, rimboccarci le maniche, seppellire i morti, cercare i dispersi, aiutare chi in un attimo si è trovato senza famiglia, senza casa, senza sicurezza alcuna.
E i morti vengono sepolti assieme ai morti di Ebola, si aprono posti di accoglienza e chi ha bisogno trova in fretta un centro che lo accoglie e gli dà rinnovata speranza. Tra i poveri la solidarietà c’è ed è immediata.
Si cercano le cause… e le si trovano facilmente in questo correre verso la città dai villaggi lontani. Freetown non è progettata per tutta questa gente. Non c’è acquedotto, non ci sono strade e nemmeno fognature e non c’è sempre la luce elettrica.
Un formicolio di gente che cerca di costruirsi un rifugio, una casa dove può e le foreste spariscono e l’acqua non ha più freno alla sua corsa verso il basso.
Ora lo si sa: il Governo aveva parlato, li aveva messi in guardia, ma la necessità è stata più forte del pericolo da correre e le conseguenze che già si potevano prevedere anni fa si sono fatte visibili, mortali in questa ultima alluvione.
Contro la natura si può andare ma non si potranno sempre evitare conseguenze di morte.
Quello che c’è di grande e umano in queste situazioni di improvviso dolore è la solidarietà che da subito si presentata sotto forma di cibo, acqua, vestiti e presenza amorevole.
E così nessuno resta solo a piangere la sua solitudine.
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