Kenya: il Papa parla del diritto all'acqua

LVIA racconta una storia di cooperazione che in 50 anni ha visto la realizzazione di 600 Km di acquedotto che danno acqua 522mila persone nel Meru

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foto Alessandro Rocca

 

"Il mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all'acquapotabile, perché ciò significa negare ad essi il ‎diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Negare l'acqua ad una famiglia, attraverso qualche pretesto burocratico, è una grande ‎ingiustizia, soprattutto quando si lucra su questo bisogno".

Con questo appello, Francesco ha incontrato le migliaia di persone che vivono nella baraccopoli di Kangemi, nel cuore della capitale keniota. Perché l’accesso all’acqua è il diritto umano primario, senza il quale non ci può essere vita dignitosa, salute, né sviluppo. 

 

L’associazione LVIA con i suoi volontari, con i tantissimi partner locali e le comunità keniote, può raccontare una storia positiva di accesso all’acqua, che inizia con una parola: M’BOROKI.  In lingua Kimeru significa “Chi fa scendere l’acqua”. Questo è il nomignolo dato ad Enrico Gorfer, volontario LVIA in Kenya, dalla gente di Meru con cui lavora da oltre 30 anni.

Qui, LVIA è nata 50 anni fa con l’arrivo dei primi volontari laici. Oggi nella contea di Meru LVIA è sinonimo di “Acqua”: cinquant’anni di cooperazione hanno visto la costruzione di 600 Km di acquedotto che hanno portato acqua, facendola scendere a valle dai monti Kenya e Nyambene, a 522.400 persone su 1.700.000 abitanti, nelle case, nelle scuole e nei centri sanitari; e la costruzione di 3.000 cisterne per la raccolta dell’acqua piovana perché «Dell’acqua non deve essere sprecata neanche una goccia, dobbiamo riuscire a captarla e conservarla affinché possa essere utilizzata anche nei periodi in cui scarseggia» sottolinea Enrico.

Qui, nel centro-nord del Kenya, l’acqua non è né abbondante, né facilmente accessibile. Le piogge sono circoscritte in due soli periodi l’anno e a causa del cambiamento climatico sono sempre più scarse. Quest’anno a settembre già si vedevano nella contea di Meru delle mandrie di cammelli al pascolo.

«Un brutto segno», ci ha spiegato Maurizia Sandrini, rappresentante di LVIA in Kenya.«Se le mandrie si sono spinte fino a qui, significa che a nord non c’è più acqua. Abbiamo visto la stessa cosa nel 2011, quando non ha piovuto per oltre un anno. All’epoca si parlò della più grave siccità degli ultimi 60 anni che colpì Kenya, Somalia ed Etiopia».

 

 

ACQUA È VITA: voci di donne africane

«Il lavoro di questi anni mi ha dato molte soddisfazioni», racconta Enrico«È bellissimo vedere che la gente ha l’acqua, perché questo cambia la vita delle persone, e soprattutto delle donne. Se un paradiso esiste, è sicuramente lì che vanno le donne africane. Le donne in Africa fanno una vita molto dura e l’incombenza di andare a prendere l’acqua, lontano anche diversi chilometri da casa, è uno dei compiti che più pesa nella loro vita quotidiana».

Il fitto reticolato di tubature realizzato da LVIA insieme alla Diocesi di Meru percorre la contea per 600 Km, una distanza poco inferiore all’autostrada Torino-Roma.

Centinaia di villaggi hanno costruito delle fontane pubbliche che si allacciano all’acquedotto. Incontriamo Doris, una giovane donna, in uno di questi punti d’acqua in attesa di riempire le sue taniche da 20 litri: «Ogni giorno raccolgo la legna per fare il fuoco, vado a prendere l’acqua e a volte mi occupo di portare al pascolo le mie mucche. Vengo qui quotidianamente a prendere l’acqua; ne usiamo 5 taniche al giorno», ci racconta.

5 taniche significano 100 litri d’acqua al giorno, una quantità sufficiente secondo gli standard internazionali OMS che suggeriscono una quantità minima di 20 litri d’acqua giornalieri a persona per bere e per l’igiene personale, ma «Non sono sempre sufficienti, soprattutto se hai bambini. Però la situazione è molto migliore rispetto a prima dell’allacciamento, quando ero distante 5 Km dalla fonte d’acqua più vicina».

 Per fare un confronto, in Italia il consumo procapite di acqua è di 235 litri giornalieri, che consumiamo, e sovente sprechiamo.

Tante famiglie nel Meru hanno scelto di effettuare l’allacciamento dell’acqua in casa, e oggi possono averla aprendo il rubinetto. 22 mila famiglie e 52 scuole si allacciano all’acquedotto di Muthambi. Tutti gli utenti hanno il contatore e la bolletta mensile.

«Prima facevo un’ora di cammino, fino al fiume, per 4 o 5 volte al giorno»,racconta Zipporah Rigiri. Ci andava lei, con la tanica da 20 litri, e le figlie con quelle più piccole da 10. Nel tempo “liberato”, ora coltiva l’orto. «Solo con la frutta mi sono ripagato la spesa dell’allacciamento all’acquedotto»,spiega il marito John Nyaga. «E i bambini sono più puliti».

 

 

ACQUA: un bene e una gestione comune

L’acquedotto di Muthambi è gestito da un comitato di 15 persone. Tutti sono eletti e stanno in carica un triennio. Quando c’è un aumento delle tariffe lo mettono al voto, spiegando agli utenti le ragioni per cui è necessario, vale a dire la manutenzione, le riparazioni, il rinnovo delle tubature.

Un esempio di democrazia dal quale avremmo, noi in Italia, più di qualcosa da imparare. «Stendere le tubature non è un problema», racconta Enrico. «La vera questione è formare i cittadini alla gestione dell’acqua. Da anni camminano con le loro gambe e cercano i finanziamenti per implementare la rete». Chiaramente in una gestione complessa come quella dell’acqua, alcuni problemi permangono. I membri del Comitato di gestione ci spiegano che l’acquedotto registra degli allacciamenti abusivi. «È importante per il futuro rafforzare la consapevolezza nelle persone che l’acqua è un diritto che va garantito a tutti e a cui tutti devono contribuire in maniera equa. Non si può speculare sull’acqua».

 

* Questo articolo è stato reso possibile dal Progetto Dev Reporter Network, sostenuto dal contributo dall’Unione Europea e promosso in Piemonte dal Consorzio delle Ong Piemontesi 

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