Giorni di dolore e di speranza

Alla finestra: una riflessione sul tempo di Pasqua

Parole chiave: morte e resurrezione (1), Gesù Cristo (1), pasqua (28), festa (30)
Giorni di dolore e di speranza

Tre giorni speciali. I più attesi nei quali il Vangelo s’impasta nel dolore e nelle sofferenze di tutti, scopre ed esalta il perdono, dà volto alla misericordia, riapre le piaghe di un uomo che le ha volute tutte su di sé e, contemporaneamente, alza il velo su quelle aperte, dentro di noi, nelle famiglie, nelle città, nelle strade. Per chi non crede, tracce di umanità ritrovate nelle lacrime di un povero come in quelle di uno dei tanti disperati che ci passano accanto e spesso non vediamo, non riconosciamo, come i discepoli di Emmaus.  Giorni che per tutti sono una tenda. All’incrocio di una strada o di una vita. In piazza o strada, in chiesa o in casa, in ospedale o accanto al letto di un malato. Una tenda che ha i contorni sfumati di un incantesimo nel caotico susseguirsi delle ore di questo circo così stravagante, beffardo e pazzo nel quale viviamo, ma racconta un fatto che ha cambiato il mondo, le notti e i giorni di milioni di persone.

Per tutti sono la possibilità di aprire una finestra “dentro”. Per immergersi nel mondo “altro”, quello oltre la facciata e le maschere che spesso indossiamo. Una finestra per vedere negli occhi socchiusi di un uomo crocifisso i mali del mondo: i bagliori delle bombe e del sangue di coloro che nel nome di Dio, bestemmiando, uccidono e torturano, bruciano e distruggono A parigi, come a Damasco o a Bruxelles, i fumi delle troppe chiese cristiane distrutte, le ferite dei nuovi martiri cristiani massacrati nel silenzio (come dice Papa Francesco) e nell’indifferenza, il mare Mediterraneo dei fantasmi che ogni notte inghiotte uomini, donne, bambini, i muri dell’egoismo della nuova Europa sulla rotta dei Balcani e non solo, le nefandezze dei mercanti di droga e armi, le ingiustizie intollerabili che crescono come i patrimoni dei ricchi.

In quegli occhi, che si creda o no, c’è l’immagine del dolore assoluto e solitario, ci sono gli echi inquietanti, i lamenti, e il grido, spesso inespresso, di tutti. Giorni di silenzio e di minuti finalmente trovati per sentire il peso dei rancori, dell’invidia, della perfidia, della prepotenza, della superbia, della tracotanza.. Giorni preziosi per ritrovare il filo della vita nostra e degli altri, per cogliere gli sguardi e leggerne i messaggi, per ascoltare le parole e i loro silenzi. Il giovedì svela l’umiltà di chi lava i piedi ai senzaniente e il ghigno di chi tradisce. Gesti e sentimenti, sullo sfondo la Grande Storia e le piccole storie degli uomini. Il venerdì ecco la “via crucis” dell’uomo cui cattiveria ed ignoranza cercano di sfilare anche la dignità come spesso succede anche oggi. E il dolore che esplode in quell’urlo. “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”

Il sabato è come un cinema muto che proietta i gesti e i simboli di un mondo senza un cuore o un’anima e sfocia nelle brutalità che vediamo.. Giorni di flash beach e rappresentazioni, dialoghi e parole, un impasto nel quale la finzione è realtà. Scene di odio, di abbracci e tradimenti, di opportunismi e di coraggio. A guardarle sembra di vedere il romanzo di un’esistenza qualunque di uno di noi, tra lacrime e sorrisi, rabbia e bugie, angosce e delusioni, ansia e paura. Tre giorni per risentire, forse, il respiro di Dio o almeno quello della vita e le sfumature di infinita malinconia di chi ha perso la speranza.

Giovedì, venerdì, sabato: tre verità. Altrettanti racconti per immagini di ciò che avviene oltre la facciata delle case, i volti di uomini e donne, spezzoni di vita e di vite che vale la pena di leggere, magari attraverso i versi di un poeta, per poter ritrovare, alla fine del cammino quel sospiro laico che mescola come in una pennellata di colori emozioni e attese, sollievo e felicità, semplicemente un guizzo di serenità che sa di giustizia, tenerezza, soprattutto di quel perdono che fa star bene dentro, credente o no poco importa.

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