Salone del libro: non c'è un minuto da perdere

L'opinione di Alessandro Perissinotto, scrittore a sostegno del salone del Lingotto. Intanto giunge la nomina del nuovo direttore lo scrittore, vincitore del Premio Strega, Nicola Lagioia 

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Salone del libro: non c'è un minuto da perdere

Secondo lo scrittore torinese Alessandro Perissinotto, Torino non sta reagendo con sufficiente forza alla concorrenza milanese sul Salone del Libro. In questa intervista a «La Voce e Il Tempo» l’autore del noto romanzo «Le colpe dei padri», ambientato a Mirafiori e alla Falchera, osserva che il tempo che ci separa alla primavera, la stagione dei Saloni, sta trascorrendo in fretta ma ancora non si vede, da parte degli enti locali, alcuna vera mobilitazione del mondo culturale e imprenditoriale.

Cosa rappresenta il Salone per Torino?

Partirei dal passato. Ricordo benissimo la prima edizione a Torino Esposizioni nel 1988, avevo ventiquattro anni. La percepii come un evento innovativo, che dava un’altra immagine di città rispetto a quella della produzione industriale e della fabbrica. Anche alla luce del successivo sviluppo di Torino, da lì partivano idee e rappresentazioni nuove.

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Che prospettive vede per il futuro?

La scelta di Torino trent’anni fa fu coraggiosa e innovativa, in un periodo in cui il libro veniva considerato poco appetibile come prodotto commerciale. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le manifestazioni nazionali intorno al libro, il che non è necessariamente sintomo di vivacità culturale, ma «fa fine e non impegna». Al Salone di Torino c’è una città intorno al libro, non so se Milano saprà fare altrettanto.

Si dice che a cambiare il volto di Torino, vent’anni dopo l’invenzione del Salone, siano poi state le Olimpiadi del 2006. Condivide?

Solo in parte. I Giochi di Torino 2006 sono stati uno degli esiti di quella trasformazione della città nella quale il Salone aveva giocato un ruolo da protagonista. Le Olimpiadi certamente non sono state il primo passo di qusta trasformazione. Torino dimostrò fra la metà degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90 una notevole vivacità culturale. Un esempio: nel mondo della musica e dell’intrattenimento quegli anni videro la nascita e l’affermazione di gruppi come Statuto, Fratelli di Soledad, Mau Mau, Africa Unite e Subsonica.

È una fase giunta al termine?

Mi sembra che Torino sta vivendo un periodo di stallo. Manca l’innovazione per affrontare le nuove trasformazioni radicali del terziario avanzato, dell’era di internet, della globalizzazione spinta. Non illudiamoci che le mostre (anche di rilievo) e il turismo possano risollevare da soli l’economia della città. Una strada, nel settore culturale, si potrebbe forse cercare nell’intrattenimento digitale, partendo da Torino per raccogliere la sfida che il web sta lanciando al cinema e alla televisione.

Torniamo al Salone. La scelta compiuta da molti editori di lasciare Torino e la Fondazione per il Libro risale al febbraio del 2015, ma non abbiamo visto grandi contromanovre sotto la Mole…

La mossa degli editori viene certamente da lontano: motivarla soltanto con la concorrenza del colosso Milano ai danni della più piccola e gentile Torino è un modo per far dimenticare le responsabilità della macchina organizzativa del Salone torinese. Se si fosse messo in discussione tempestivamente l'operato dei vecchi vertici del Salone, forse non si sarebbe giunti a questo punto. Certo, da parte del Comune mi attendevo che la notizia dello spostamento a Milano avrebbe dato luogo in tempi brevissimi a qualcosa del tipo «Stati generali della cultura».

Invece?

Nessun vasto dibattito collettivo che mettesse insieme operatori economici, istituzioni, intellettuali e cittadini: credo che si sarebbe dovuti partire di lì per rilanciare il Salone come espressione della città. La Giunta comunale dovrebbe impegnarsi a fondo sul Salone, non in termini economici, ma soprattutto di immagine e convinzione su un nuovo progetto.

Che al momento, però, ancora non c’è. Chi potrebbe proporre una soluzione?

Il punto interrogativo sull’edizione torinese è molto grosso. In questo momento, tra gli attori che possono portare un contributo di novità al nuovo Salone vedo la Scuola Holden (lo dico da osservatore esterno e distaccato di quella realtà) e il sistema Universitario torinese, che fino ad ora è stato scarsamente coinvolto nel Salone, ma, per i suoi contenuti culturali, avrebbe dovuto esserne protagonista.

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