Il maestro Noseda: «Torino, l’esempio virtuoso»

Intervista a tutto campo al direttore musicale Gianandrea Noseda, che il 12 ottobre dirigerà «La Bohème»

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Il maestro Noseda: «Torino, l’esempio virtuoso»

A pochi giorni dall’apertura della stagione del Teatro Regio a Torino, la sera del 12 ottobre con una nuova produzione di «Bohème», durante una pausa delle prove abbiamo incontrato il direttore musicale della Fondazione lirica, Gianandrea Noseda. Un passaggio in palcoscenico, un cenno ai professori d’orchestra, il servizio fotografico di rito. Poi, in camerino, iniziamo a conversare di musica a 360 gradi.

Carlo D’Ormeville, un critico miope passato alla storia proprio per questa gaffe, dopo la prima della «Bohème» telegrafò al giornale scrivendo testualmente: «Opera mancata, non farà giro». Sono passati 120 anni da allora e il capolavoro pucciniano resta un evergreeen...

«La Bohème» è un’opera che non tramonterà mai; allora era qualcosa nel gusto delle piccole cose, un po’ gozzaniane, e incontrava il pubblico. In realtà quando parli di gioventù, sogni disillusioni, i primi innamoramenti non puoi sbagliare, sono temi eterni: è un insieme di sentimenti che saranno sempre presenti, non tramonteranno mai.

Una nuova importante stagione, quella che lei va ad inaugurare…

Una stagione con tante possibilità. Un teatro del resto deve sempre presentare sul buffet, per così dire, diversi cibi e proposte differenziate, tali da soddisfare i gusti di tutti. Anche la presenza di questa «Bohème», a oltre un secolo da quella storica prima, in un nuovo allestimento realizzato grazie ad una significativa cooperazione e grazie al contributo di un partner privato, gli «Amici del Regio», va nella direzione giusta, seguendo un trend inevitabile e positivo.

Noseda, cittadino del mondo: lei dirige in vari continenti, il Regio è un luogo privilegiato per lavorare? So che ci torna sempre volentieri, che ha un rapporto speciale con i professori d’orchestra. Il segreto per ottenere il massimo da professionisti seri ed entusiasti?

Non perdere mai tu stesso le motivazioni, l’entusiasmo, la voglia di andare a fondo, non smarrire mai la capacità di sorprenderti. E allora ecco che riesci a comunicare la freschezza a tutti, solisti, orchestrali, artisti del coro, anche ai tecnici; diventa un’energia positiva, un ponte per superare le eventuali difficoltà.

In veste di direttore stabile del Regio lei ha portato il “nostro” teatro in Giappone, come di recente, la scorsa estate, in Finlandia, a Savonlinna, dove si tiene un blasonato Festival, a Edimburgo e in Germania. Come ci vedono e ci valutano dall’estero?

Persistono tuttora certi cliché, come italiani ‘genio e sregolatezza’. E invece no: genio e più regolatezza oggi sono dominanti; ci sono tanti aspetti che la globalizzazione rischia di far perdere e per contro ci sono aspetti che è positivo condividere. Se fuori Italia si imparano caratteristiche per noi più lontane, ecco che riusciamo a dimostrare che possiamo contare nella qualità a livello internazionale. Insomma, non dobbiamo certo smettere di essere italiani, con la nostra creatività, estro, fantasia. Se avessimo, e lo stiamo raggiungendo, un po’ più di pragmatismo inglese e un pizzico, non troppa, di professionalità teutonica, saremmo perfetti.

A sua volta, lei ha portato a Torino varie orchestre, di recente la Lso per MiTo. Un valore aggiunto per la città…

Porti solisti di spicco, che incontri altrove, e li presenti a Torino perché ci credi; quando vedi artisti inaspettati di singolare bravura ti piace condividere questa scintilla. Vale anche per le case discografiche: porti a collaborare col Regio etichette come la mitica Deutsches Grammophon e Chandos...[durante l’intervista Noseda annuncia ad un orchestrale di passaggio per un saluto l’imminente immissione sul mercato della «Seconda» di Mahler, realizzata proprio con l’orchestra del Regio, ndr]. Non tenersi in saccoccia le proprie possibilità, ma al contrario farle fruttare come i talenti, mettere tutto ciò al servizio delle realtà che tocchi: ecco, questo fa in modo che tutti possano goderne appieno.

Come vede la politica culturale della città, in particolare relativa all’attività musicale?

Torino ha investito tanto, a partire dal 2006, in ambito culturale, non credo che possa fare retromarcia: o torna a fare la città soloindustriale o continua a proseguire su quella che è la sua caratteristica primigenia, di prima capitale; una città che ha sempre avuto una sua aristocrazia culturale, una borghesia forte, una città che ha creato moltissimo in campo artistico. La vocazione industriale è stata una pur lunga e importante parentesi, pur tuttavia essere vista solo come città industriale è per Torino una limitazione, è nel Dna della città essere un polo culturale.

Torino sotto il profilo musicale possiede una eccellente ricchezza, si può dire che per certi versi sia un caso atipico rispetto al resto dell’Italia, e non rispecchi dunque lo stato di ‘depressione’ della musica che opprime invece altre città. E’ così?

Torino propone molto, ha istituzioni forti che possiedono creatività invidiabile, capacità di programmazione ed è stimolante stare qui. Altre città, in effetti, stanno seguendo questo esempio virtuoso.

Che cosa ha di davvero speciale sotto il piano musicale la nostra città?

Ha un bel pubblico. Ciò significa non solo che la proposta culturale è accattivante, ma che, per l’appunto, c’è un pubblico che può goderne. E’ una città che non è affatto understatement, come si vuole far credere. Al contrario è frizzante, propone e recepisce molto.

Che cosa ama, in particolare, di Torino e dei torinesi?

Amo che, quando si fanno passi importanti, siano passi seri e pur ponderati. Mi piacerebbe talora una ‘velocità’ ancora maggiore, ma è già oggi una città molto più rapida e ricettiva rispetto a quella che conobbi nel 1999, quando ebbi per la prima volta contatti con l’orchestra Rai.

Una nuova rilevante stagione si annuncia al Regio. In accordo con il direttore artistico ed il sovrintendente, lei punta molto sulle co-produzioni: è la strada giusta per ottimizzare le risorse e nel contempo mantenere alto il livello delle produzioni?

Più che condividere, occorre dividere i costi. Non è più proponibile un grande investimento per un solo allestimento e poi mettere in magazzino, occorre fare girare la produzione e trovare teatri che la presenteranno. Questo deve avvenire già nella fase di progettazione, tutti i teatri coinvolti mettono la loro quota e ciò permette all’allestimento di circuitare, di risparmiare e avere ‘diritti’ su altri teatri.

A Torino, di recente al Regio ma anche in Rai, sono stati indetti concorsi e ci sono state numerose immissioni di ‘linfa nuova’ e di vitalità. Quale spazio per i giovani?

Ce ne vorrebbe di più, se ci fossero più orchestre e teatri. D’altra parte deve essere premiato il merito, non si deve cedere a logiche che non siano il merito.

Un sogno musicale che vorrebbe realizzare proprio a Torino?

I sogni cambiano, a seconda di come procedi, evolvono, si modificano; è importante vivere come sogno quello che devi realizzare in quel momento. Fare bene questa «Bohème», ad esempio,è un sogno grande.

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