Mirafiori tra memoria e "lunapark" al Torino Film Festival

Intervista al torinese Stefano Di Polito regista del lungometraggio "Mirafiori lunapark" sui luoghi della fabbrica, la loro storia e il loro possibile futuro

Il regista Stefano Di Polito, in una foto di Simone Martinetto

 Il mondo operaio della Fiat che non c'è più, fatto di solidarietà, senso di comunità, sogno di un futuro migliore e rivendicazioni sociali, è protagonista di Mirafiori Lunapark. Il film del regista Stefano Di Polito, prodotto da Mimmo Calopresti con Rai Cinema, è stato presentato al Torino Film Festival. Protagonisti Alessandro Haber, Antonio Catania e Giorgio Colangeli. Ne parliamo con il giovane regista

 

 Il film è un sogno che si realizza, ma da dove parte questo progetto e perché Mirafiori?

Ogni film è un sogno che si realizza, nel mio caso spero sia anche un sogno collettivo. Ho iniziato a scrivere la sceneggiatura sulle panchine di Mirafiori accanto a mio padre e ai suoi amici, operai Fiat ormai in pensione, a cui rubavo il modo di guardare il mondo attuale, in particolare quello del lavoro. In ogni momento di questo lungo percorso, dall'idea iniziale al film, sia quelli positivi e sia quelli negativi, ho cercato di ricordarmi che stavo realizzando un mandato più grande di quello personale. Rendere omaggio e ricordare la generazione dei nostri padri, che con grande fatica hanno creato il futuro e difeso i diritti sociali, opponendosi a ogni forma di prevaricazione e diseguaglianza. Dentro di me sentivo l’urgenza del tempo che rende le loro testimonianze sempre più  rare e in pericolo. Ho scoperto che molte persone avevano bisogno di ricordare i propri padri e i loro sacrifici, indipendentemente dalla classe sociale, e di trovare nel loro esempio una strada per uscire da una crisi più grande di noi. Mirafiori è stato il simbolo del boom economico, dell’immigrazione dal sud, delle lotte sociali, ora vive il dramma della perdita del lavoro. Ricordarlo attraverso una storia piccola e  privata significa cercare una via personale per uscire dal senso di impotenza e dalla paura del domani.

Nell’opera si parla di un mondo che non esiste più, oppure è sommerso e frastagliato. Memoria e realtà di Mirafiori Lunapark

A Mirafiori molti lavoratori sono in cassa integrazione o lavorano poche giornate al mese, è una realtà talmente dolorosa che si fa fatica a parlarne. Di qui la scelta della favola che permette di raccontare anche gli incubi peggiori. Così in Mirafiori Lunapark i tre pensionati, interpretati magistralmente da Alessandro Haber, Giorgio Colangeli e Antonio Catania, decidono di occupare la loro vecchia fabbrica abbandonata, proprio poco prima che venga abbattuta; provano a trasformarla in un lunapark per raccontare alle future generazioni, i loro nipotini, che cosa era veramente il lavoro. Lo fanno in modo giocoso, gli operai chiamavano la catena di montaggio “la giostra”, perché dovevano rincorrere un nastro circolare, così recuperano quella vecchia idea e decidono di farne un’attrattiva per i bambini del quartiere, prima che se ne vadano via con i loro genitori alla ricerca di un lavoro all’estero.

Documento, finzione e realtà dove e come trovare equilibri in questa narrazione

Sono partito dalla realtà, visto che sono nato a Mirafiori Sud, poi ho aggiunto la finzione trasformando i luoghi del quartiere in posti magici, dove potevano capitare delle cose surreali e fiabesche. Infine ho aggiunto alcune parti documentaristiche per mostrare cosa c’era una volta a Mirafiori, perché in fondo ce lo siamo dimenticati. La narrazione procede attraverso le vicende fantastiche di questi tre pensionati ed è sospesa nel tempo. Sono i loro ricordi a portarci al passato ed è il linguaggio semplice della fiaba che giustifica gli elementi surreali.

Fabbrica: cultura, arte, produzione industriale. Cosa ci sarà di nuovo in questi luoghi?

Intanto c’è un film per cui ringrazio Anna Gasco con cui ho scritto la sceneggiatura e Mimmo Calopresti che è stato il primo a crederci con la produttrice Eileen Tasca e poi Rai Cinema, il Ministero dei Beni Culturali, Torino Film Commission e Torino Nuova Economia, che ci ha permesso di girare in un ex fabbrica della Fiat, e infine un grandissimo riconoscimento va al Torino Film Festival che ci ha permesso di presentarlo a Torino, davanti a molti operai e moltissimi figli della grande fabbrica. Sono convinto che l'arte e la cultura debbano riempire questi vuoti per fare in modo che ne resti la memoria. Il lunapark è una risposta creativa da parte dei tre protagonisti, l'ennesimo insegnamento. Se non riusciamo a rimettere in moto le vecchie catene di montaggio facciamone delle opere che ne preservano la memoria. In questo modo riusciremo a trovare gli stimoli e la forza per rialzarci e tornare a far parlare in tutto il mondo dell'ingegno italiano e della nostra terra come fucina di innovazione ed esempio di cultura del lavoro. Prima che sia troppo tardi.

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