Silvio Dissegna da Poirino verso gli altari

Diventa «venerabile» il ragazzino di Poirino, eroe dodicenne scavato dalla malattia (1967-1979), commosse San Giovanni Paolo II, il cardinale Saldarini aprì nel 1985 il processo diocesano

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Silvio Dissegna

Diventa «venerabile» Silvio Dissegna, eroe dodicenne, ed è a un passo dalla beatificazione. Meno di vent’anni fa, l’8 febbraio 1995, l’arcivescovo di Torino cardinale Giovanni Saldarini, in una stracolma basilica di Maria Ausiliatrice, ne apriva il «Processo informativo diocesano sulle virtù eroiche e sulla fama di santità».

I Dissegna sono una famiglia di immigrati a Poirino negli anni Cinquanta dal Veneto, dopo l’alluvione del Polesine. Nel grosso paese agricolo in provincia di Torino il papà Ottavio, classe 1937, è mezzadro e poi operaio alla Fiat (Mirafiori e poi Carmagnola), la mamma Gabriella del 1943 è casalinga e poi operatrice scolastica. Silvio nasce il 1° luglio 1967 nel reparto maternità dell’ospedale di Moncalieri, vive la fanciullezza in un ambiente sereno e laborioso. È un bambino solare e gioioso, allegro e servizievole, anima poetica, amante della natura e del gioco. Il 7 settembre 1975 ricevela Prima Comunioneinsieme al fratellino Carlo di un anno più giovane. Perspicace e intelligente, a scuola si distingue per l’impegno e per gli ottimi risultati. «Da grande farò il maestro per insegnare agli altri» scrive sul suo diario. Nel Natale 1977 la mamma gli regala la macchina per scrivere e lui su un foglio batte: «Ti ringrazio mamma perché mi hai messo al mondo, perché mi hai dato la vita che è tanto bella! Io ho tanta voglia di vivere».

All’inizio del 1978 comincia a lamentarsi di un dolore alla gamba sinistra. La diagnosi è terribile: cancro alle ossa. Ha solo 11 anni ma capisce che il male sta per travolgerlo. Non si dispera ma si affida alla volontà di Dio e alla protezione di Maria. Il 21 maggio1978 incarrozzella ricevela Cresima. Lesue condizioni si aggravano e il dolore diventa implacabile: a nulla valgono le cure e i sette ricoveri in una clinica specializzata vicino a Parigi. Trae forza dall’Eucaristia che riceve ogni giorno, dalla preghiera e dai rosari recitati notte e giorno. «Ma devo soffrire proprio 24 ore su 24? Sia fatta la volontà del Signore». A tutti regala un sorriso radioso; consola i genitori e il fratello; incoraggia i medici che si sentono impotenti; rincuora chi va a trovarlo. Il suo corpo si trasforma in una piaga, perde la vista, gli «scoppia» un occhio. Si spegne la sera del 24 settembre 1979.

Ricevendo i genitori il 9 novembre 2001 Giovanni Paolo II esclama: «Lo conosco già. Silvio è una figura bellissima, ne vale la pena. Affidiamo la causa alla Madonna». L’arcivescovo di Torino cardinale Severino Poletto spiega: «L’epilogo umanamente dolorosissimo dell’itinerario di questo ragazzo ha evidenziato quanto nel suo cuore abbia agito l’azione discreta ma efficace dello Spirito Santo che ha trovato in lui una accoglienza disponibile e una collaborazione aperta. L’esperienza di Silvio parla ai ragazzi e ai giovani, ha un messaggio da trasmettere a quanti si accostano alla realtà delicata e terribile ma preziosa della sofferenza innocente».

Per papà Ottavio «il ricordo più forte è quello di Silvio in preghiera: teneva le manine giunte, era concentratissimo, non un attimo di distrazione. Io provavo tante volte a imitarlo ma non riuscivo: dicevo due-tre "Ave Maria" e poi la testa andava per i fatti suoi. Forse la concentrazione era favorita dal fatto che diceva il rosario in latino, anche quando era ricoverato a Parigi, mentre al mattino e alla sera pregavamo insieme». La mamma: «Anche prima di ammalarsi aveva questa intensità e concentrazione. La sera, quando il papà faceva il turno di notte, io, Silvio e Carlo dicevamo le preghiere inginocchiati sul tappeto nella stanza dei ragazzi. Manine giunte, non si distraeva ma riusciva a isolarsi perché la preghiera era un dialogo personale e intimo con il Signore. Ha assorbito molto da noi genitori e dai nonni: pregavamo insieme; alla domenica andavamo a Messa insieme ma raramente andava in oratorio perché era lontano da casa nostra. Qualche volta alla festa andavamo a pregare nei santuari: Consolata, Maria Ausiliatrice, Gran Madre, Superga, Colle don Bosco. Un altro momento forte era il catechismo che i sacerdoti facevano una volta alla settimana nelle elementari. I parroci don Vincenzo Pansa e don Antonio Bellezza-Prinsi e poi don Luigi Delsanto, che lo ha molto seguito nella malattia, hanno influito molto sulla sua formazione». Un grande impegno per la riuscita della causa si deve a don Lio de Angelis, parroco emerito di Grugliasco-San Cassiano e poi di Poirino-La Longa.

Da grande voleva fare il calciatore e il maestro. Ricorda ancora il papà: «Già da piccolo era molto maturo e i suoi ragionamenti erano da adulto: aveva una cultura, anche religiosa, superiore alla media, come si vede nei quaderni di scuola e del catechismo, come quando scrisse: "La Madonna è stata la più saggia tra le creature perché ha ubbidito totalmente al Signore". O come a Parigi quando, vedendo in tv l’elezione di Wojtyla, disse: "Chissà se questo Papa straniero riuscirà a governare benela Chiesa"». E la mamma: «Spesso mi faceva domande tanto profonde che non sapevo cosa rispondere. Non gli abbiamo rivelato che aveva un cancro e che doveva morire ma l’ha capito da solo. Diceva: "Ho sempre più male e so che devo morire"».

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